French articles – 3

* UE: TURCHIA; CHIRAC, POSSIBILE VETO SU GENOCIDIO ARMENO ;
* UE: TURCHIA, CENTINAIA ARMENI MANIFESTANO A BRUXELLES ;
* MA IN FRANCIA E IN AUSTRIA SARÀ IL POPOLO A DECIDERE
* Protesta degli armeni
* Turquia, Europa y la Union; jordi sellares serra
* Pour une Europe accueillante; PCF
* La Turquie, si… ;
* De l’empire ottoman Ă  AtatĂŒrk, une lente occidentalisation ;
* Les ArmĂ©niens disent non Ă  la Turquie dans l’Europe
* La marche turque;
* Une plaie arménienne toujours ouverte
* Le bon usage d’un paradoxe ;
* L’Europe se prĂ©pare Ă  accueillir la Turquie en son sein dans dix ans
* Le plaidoyer de M. Chirac en faveur d’Ankara suscite de vives rĂ©actions ;
* Philippe de Villiers s’accapare la campagne du « non » ;
* Le Parlement europĂ©en se prononce Ă  une large majoritĂ© pour l’entrĂ©e de la Turquie dans l’UE ;
* Chirac sur la réserve au Conseil européen;
* La longue marche turque de l’Union
* Une négociation encadrée; EvÚnement 1. Europe
* Chirac s’est engagĂ© pour la Turquie mais pose de sĂ©vĂšres garde-fous
* Turchia: scende in piazza il popolo CHE, CON CORAGGIO, DICE NO
* L’Anatolie est-elle en Europe?
* Il a assuré que le Parlement français serait consulté en permanence
* Droite Face Ă  une opinion publique hostile Ă  l’entrĂ©e d’Ankara, le
* Le cas turc

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UE: TURCHIA; CHIRAC, POSSIBILE VETO SU GENOCIDIO ARMENO ;
IN FUTURO REFERENDUM FRANCESE SE ANKARA NON LO RICONOSCE

ANSA Notiziario Generale in Italiano
17 dicembre 2004

BRUXELLES

(ANSA) – BRUXELLES, 17 DIC – Se al momento di aderire all’Ue
la Turchia non avra’ riconosciuto il genocidio armeno, i
francesi potrebbero votare contro l’ingresso di Ankara
nell’Unione europea.

Lo ha detto oggi il presidente francese Jacques Chirac in una
conferenza stampa a Bruxelles: “I francesi devono avere
l’ultima parola”, ha detto Chirac ricordando l’impegno a far
tenere un referendum sull’ingresso della Turchia e il “lavoro
della memoria” fatto da molti Paesi europei sugli orrori della
propria storia.

“Non dubito nemmeno per un istante – ha aggiunto – che se
questo lavoro della memoria non fosse fatto, i francesi lo
terrebbero nel piu’ gran conto nel formulare il giudizio
sull’eventuale trattato di adesione”.

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UE: TURCHIA, CENTINAIA ARMENI MANIFESTANO A BRUXELLES ;
CHIEDONO RICONOSCIMENTO GENOCIDIO CONDIZIONE PER AVVIO NEGOZIATI

ANSA Notiziario Generale in Italiano
17 dicembre 2004

BRUXELLES

(ANSA) – BRUXELLES, 17 DIC – Diverse centinaia di armeni
hanno manifestato a Bruxelles in una piazza del quartiere
comunitario a poca distanza dal palazzo Justus Lipsius dove si
svolge il Consiglio europeo sull’avvio dei negoziati di adesione
con la Turchia. Chiedono all’Unione europea di esigere il
riconoscimento del genocidio armeno da parte di Ankara.

La manifestazione e’ stata organizzata dalla Federazione
degli armeni di Europa, una vasta comunita’ che conta circa un
milione di persone.

Per protestare “contro questa Turchia in Europa” – come
hanno scritto su molti cartelli – gli armeni sono giunti da
diversi paesi europei. Il gruppo piu’ numeroso quello arrivato
dalla Francia, dove risiedono circa 400mila armeni. Altri gruppi
sono giunti dalla Spagna, dalla Grecia, dall’Olanda, dalla
Svezia e anche dall’Italia (circa un centinaio di persone),
principalmente da Milano e da Roma dove si trovano le comunita
armene italiane piu’ numerose.

I manifestanti chiedono che l’Unione imponga alla Turchia
come pre-condizione per l’avvio dei negoziati di adesione il
riconoscimento del genocidio armeno perpetrato dai turchi tra il
1915 e il 1923 causando circa 1,5 milioni di vittime.

Gli armeni non sono stati i soli a manifestare contro la
Turchia in Europa. Nel quartiere comunitario anche un sit-in di
protesta con qualche decina di militanti di organizzazioni degli
immigrati turchi in Europa contrari alle politiche del governo
turco, compresa quella per l’ingresso nell’Unione. (ANSA).

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MA IN FRANCIA E IN AUSTRIA SARÀ IL POPOLO A DECIDERE

La Padania, Italia
sabato 18 dicembre 2004

La notizia dell’avvio del negoziato per l’ingresso della Turchia
nella Ue era appena stata diffusa e subito si sono levate le prime
voci contrarie. In pole position la Francia, con Chirac che
ammonisce: «negoziato non vuol dire adesione». A Vienna si dimostrano
piĂč democratici che a Roma e annunciano un referendum popolare
sull’adesione di Ankara all’Unione. E anche il primo ministro
olandese, nonchĂ© presidente di turno dell’Ue, Jan Peter Balkenende,
non puĂČ nascondere che l’esito dei negoziati tra Unione europea e
Turchia Ăš tutt’altro che «garantito».
CHIRAC: POSSIBILE VETO SUL GENOCIDIO ARMENO. Se al momento di aderire
all’Ue la Turchia non avrà riconosciuto il genocidio armeno, i
francesi potrebbero votare contro l’ingresso di Ankara nell’Unione.
Lo ha detto il presidente francese Jacques Chirac a Bruxelles: «I
francesi devono avere l’ultima parola», ha ribadito Chirac ricordando
l’impegno a far tenere un referendum sull’ingresso della Turchia e il
«lavoro della memoria» fatto da molti Paesi europei sugli orrori
della propria storia. «Non dubito nemmeno per un istante – ha
aggiunto – che se questo lavoro della memoria non fosse fatto, i
francesi lo terrebbero nel piĂč gran conto nel formulare il giudizio
sull’eventuale trattato di adesione».
Nel ribadire che «Ú interesse dell’Europa in generale e della Francia
in particolare di intavolare questi negoziati», Chirac ha
sottolineato che «negoziato non vuol dire adesione e che per la
Turchia si tratta di fare uno sforzo considerevole» dopo quelli
«formidabili» già fatti. «La strada sarà lunga e sarà difficile prima
che la Turchia sia in grado di rispettare tutte le condizioni che
sono richieste per unirsi all’Europa. Tutti ammettono che questo
processo durerĂ  probabilmente 10 o 15 anni e che non si puĂČ scrivere
in anticipo quale sarà il risultato di questi negoziati».
Inoltre «in caso di violazione di diritti dell’uomo e delle libertĂ 
fondamentali in Turchia – ha aggiunto il presidente francese – il
Consiglio deciderĂ  di sospendere immediatamente questi negoziati.
Ciascuno dei 25 Stati dell’Unione manterrà la sua intera libertà di
valutazione dall’inizio alla fine dei negoziati e in ciascun momento,
se lo vorrĂ , se lo ritiene necessario, se le proprie opinioni
pubbliche e i suoi governi lo desiderano, potrĂ  mettere fine a questi
negoziati».
BALKENENDE: IMPREVEDIBILE L’ESITO DEI NEGOZIATI. Insomma, se il loro
obiettivo Ăš l’«adesione», l’esito delle trattative non appare affatto
scontato. Lo ha ribadito il primo ministro olandese e presidente di
turno della Ue, Jan Peter Balkenende, rispondendo alla domanda di un
giornalista durante la conferenza stampa conclusiva del Consiglio
europeo.
Nel caso non si possa «arrivare a un’adesione – ha quindi concluso
Balkenende – bisogna garantire eventuali procedure per ancorare la
Turchia all’Unione europea». Proprio la formulazione delle
conclusioni della presidenza che introduceva il principio di un
“saldo ancoraggio” della Turchia all’Ue in caso di fallimento dei
negoziati di adesione, aveva fatto storcere il naso ad Ankara. La
Turchia ha insistito sul principio della piena adesione e chiesto
l’eliminazione dal testo del riferimento a una possibile alternativa
al suo ingresso nell’Ue in qualità di Stato membro a pieno titolo;
alternativa che non Ăš prevista per nessuno degli altri Paesi
candidati a entrare nell’Unione.
SCHÜSSEL: NOI FAREMO UN REFERENDUM. «È giusto che a decidere
dell’adesione della Turchia all’Unione europea non sia solo il
Parlamento ma anche il popolo». Non illudetevi: non Ú al Quirinale
che si Ăš sentita questa affermazione, ma nella Cancelleria austriaca:
Wolfgang SchĂŒssel ha annunciato la decisione di indire un referendum
sull’adesione della Turchia. L’Austria ù stato fra i paesi che
maggiormente si ù opposto all’avvio di negoziati con Ankara e ha a
lungo chiesto di offrire ai turchi una relazione speciale invece che
un’adesione piena.
Anche la Francia ha giĂ  annunciato che promuoverĂ  un referendum entro
il 2005.
A. A.

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Protesta degli armeni

La Padania, Italia
sabato 18 dicembre 2004

In centinaia a Bruxelles chiedono di riconoscere il genocidio

BRUXELLES – Diverse centinaia di armeni hanno manifestato a Bruxelles
in una piazza del quartiere comunitario a poca distanza dal palazzo
Justus Lipsius dove si svolgeva il Consiglio europeo sull’avvio dei
negoziati di adesione con la Turchia. I manifestanti chiedevano
all’Unione europea di esigere il riconoscimento del genocidio armeno
(1,5 milioni di vittime tra il 1915 e il 1923) da parte di Ankara. La
manifestazione Ăš stata organizzata dalla Federazione degli armeni di
Europa, una vasta comunitĂ  che conta circa un milione di persone.
Per protestare “contro questa Turchia in Europa” – come hanno scritto
su molti cartelli – gli armeni sono giunti da diversi Paesi europei.
Il gruppo piĂč numeroso era quello arrivato dalla Francia, dove
risiedono circa 400 mila armeni. Altri gruppi sono giunti dalla
Spagna, dalla Grecia, dall’Olanda, dalla Svezia e anche dall’Italia
(circa un centinaio di persone), principalmente da Milano e da Roma
dove si trovano le comunitĂ  armene italiane piĂč numerose.
All’inizio del Novecento gli armeni erano l’etnia maggioritaria in
Anatolia orientale; poi, in un quarto di secolo sono pressoché
scomparsi. L’operazione di sterminio fu mascherata come un’azione di
spostamento di persone da ipotetiche zone di guerra, in seguito allo
scoppio della Grande Guerra, che vide l’Impero Ottomano alleato degli
imperi centrali europei contro Russia, Francia, Inghilterra e (in
seguito) l’Italia.
Le atrocitĂ  commesse dai turchi nei confronti degli armeni portarono
gli Alleati a introdurre negli anni Quaranta il concetto di “crimini
contro l’umanità”, al quale in seguito si fece ricorso durante il
processo di Norimberga ai gerarchi nazisti. Come stabilisce il
rapporto della commissione Onu dei Diritti dell’uomo (settembre 1973)
il massacro degli armeni Ăš considerato il primo genocidio del XX
secolo. Gli armeni non sono stati i soli a manifestare contro la
Turchia in Europa. All’inizio di questa settimana, il Movimento
Giovani Padani aveva manifestato per tre giorni al Parlamento europeo
a Strasburgo, chiedendo che sull’ingresso della Turchia nella Ue
siano i cittadini italiani a decidere, attraverso un referendum. Nel
quartiere comunitario, infine, c’ ù stato anche un sit-in di protesta
con qualche decina di militanti di organizzazioni degli immigrati
turchi in Europa contrari alle politiche del governo turco, compresa
quella per l’ingresso nell’Unione.

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Turquia, Europa y la Union; jordi sellares serra

Cinco Dias, Madrid
Dic 18, 2004

Turquia quiere estar en Europa. Lo quiere desde hace mas de 150 anos.
Cuando el sultan abandono el palacio de Topkapi a mediados del siglo
XIX y se construyo otro palacio al estilo frances y sin mezquita en
Dolmabahe, prohibio el turbante y obligo a vestir a la manera
occidental -pero con fez-, estaba dando un paso en esta direccion.
Cuando Mustafa Kemal Atatuerk transformo el pais en republica,
prohibio el bigote, el velo y el fez, obligo a adquirir apellido, a
adoptar el alfabeto latino y a secularizar el pais, era otro paso en
la misma direccion. Una direccion acompanada de grandes matanzas,
como la de los jenizaros en el siglo XIX o la de los armenios durante
la Primera Guerra Mundial.

Turquia, o el Imperio Otomano, ya entro en el mundo civilizado -que
primero era europeo, despues cristiano y, mas tarde, el conjunto de
Estados soberanos que existian por el derecho internacional del siglo
XIX- al final de la guerra de Crimea, en 1856, cuando franceses y
britanicos se aliaron con el sultan contra los rusos. Desde entonces,
era un Estado mas en el concierto europeo, aunque iba perdiendo
territorios sin parar, hasta la Bosnia nominalmente otomana pero
regida por un principe austriaco que provocaria la Primera Guerra
Mundial. Europa es la aspiracion, el ideal al que dirigirse, el reto
que activa los esfuerzos del pais para mejorar. Este reto consiste
ahora en entrar en la Union Europea. Util como justificacion externa
indiscutible de la necesidad de regularizacion economica interna,
porque es “lo que dicen en Bruselas”. Hace un siglo, este mito era la
creacion de un imperio. Durante las ultimas fiestas de la Merc
Barcelona, telefonee desde Estambul para felicitar a mi madre. Lo
hice desde una cabina situada junto a la Universidad de Galatasaray.
La llamada duro menos de tres minutos y costo 0,47 centimos, o
846.000 liras turcas. Pocos dias antes, en una cena, el ministro de
Economia habia prometido hacer desaparecer seis ceros de los billetes
para el proximo ano, ahora que habian logrado controlar la inflacion
por primera vez en la historia. Esto es mucho mas digerible si es por
Europa. Pero Turquia tiene menos de un 20 % de territorio en Europa
-aunque Asia este a menos de un kilometro-, unas fuerzas armadas muy
influyentes y una poblacion acostumbrada a oir periodicamente de los
minaretes las invitaciones a rezar hacia la Meca. Este proceso
europeo es irreversible? Si Turquia entra antes que Rusia o Croacia,
quien solicitara ingresar despues? Marruecos? Irak -con quien esta
gran Europa comunitaria tendria frontera-? Israel? Quiza Europa sea
util a Turquia. Pero la puerta de Turquia parece dificil de cerrar.
Quiza Europa ya no sea Europa. Ello ya sucede en otras organizaciones
internacionales, como la Organizacion para la Seguridad y Cooperacion
en Europa (OSCE) -que tiene como miembros a Estados Unidos,
Kazajistan o Turquia, y como asociados para la cooperacion a otros
estados tan poco europeos como Tailandia-. Desde esta perspectiva, ya
no parece tan absurdo que Argentina solicitara entrar en la
Organizacion del Tratado del Atlantico Norte (OTAN), a pesar de
hallarse en el Atlantico Sur. La idea era de Carlos Menem, conocido
como el turco, porque provenia de territorios historicamente
otomanos. Acaso no nos resulta mas proxima Argentina que Turquia?

Profesor de Derecho Internacional Publico de la Facultad de Derecho
de Esade

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Pour une Europe accueillante; PCF
par Olivier Mayer

L’HumanitĂ©
17 décembre 2004

À Champigny, le « non » Ă  la constitution se conjugue au prĂ©sent. Et
mĂȘme au quotidien. MalgrĂ© un brouillard Ă  couper au couteau, c’est
dans un gymnase plein à ras bord que les partisans du « non » ont
tenu meeting, Ă  l’initiative de la fĂ©dĂ©ration dĂ©partementale du PCF.
Aux manettes, la secrétaire départementale Laurence Cohen appelle les
témoignages. Celui du président communiste du conseil général,
Christian Favier, – dĂ©nonce une constitution en cohĂ©rence avec la
prétendue décentralisation à la mode Raffarin : 24 000 érémistes
désormais à la charge de la collectivité départementale, soit 10 % de
plus en six mois. Témoignage du cheminot Frédéric sur la casse
programmĂ©e du rail : « On prĂ©voit d’ici 2020 une augmentation de 40 %
des échanges fret. Un désastre écologique si le tout va à la route !
» La chirurgienne Isabelle Lorand décrit la dérive libérale : « Il y
a dix ans, 60 % des actes chirurgicaux se faisaient dans le public,
aujourd’hui c’est 35 %. Quand on travaille dans le service public, on
milite pour le “non” ! » Gaby Zimmer, dĂ©putĂ©e allemande du PDS,
raconte que les 5 millions de chĂŽmeurs d’outre-Rhin ne savent pas
aujourd’hui comment ils seront indemnisĂ©s Ă  partir du 1er janvier. Le
député communiste Jean-Claude Lefort dénonce « la dérive sociale des
continents », la course aux armements programmée dans la constitution
« de l’Euro-AmĂ©rique ». Le metteur en scĂšne Christian Benedetti
tĂ©moigne pour la culture, et Xavier Compain, le prĂ©sident du – MODEF,
en appelle à « un front commun des paysans et des consommateurs ».
Fidel, militant des « 1 000 du squat de Cachan », se veut le
porte-parole de la dignité, et Nadia, habitante des HLM, appelle les
militants Ă  se tourner vers ceux « qui s’apprĂȘtent Ă  s’abstenir parce
qu’ils portent un jugement nĂ©gatif sur l’Europe ».
« Est-ce qu’on peut dire oui quand on est de gauche ? », demande
Marie-George Buffet, qui dénonce en conclusion le projet de la droite
« conservateur, atlantiste, liberticide et communautariste ». Elle
souhaite accueillir de nouveaux pays « dans une Europe de progrÚs,
pas une Europe qui s’enfile une camisole libĂ©rale », et dit oui Ă  la
Turquie – Ă  des conditions qui tiennent « aux libertĂ©s, au droit des
femmes, à la question kurde et à la reconnaissance du génocide
arménien ». Des arguments que la secrétaire nationale du PCF a
réitérés en réaction aux propos de Jacques Chirac.
Olivier Mayer

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La Turquie, si… ;

Le Monde
18 décembre 2004

HORIZONS ANALYSES ÉDITORIAL

OUI, LA TURQUIE est bien un pays européen. En annonçant pour le 3
octobre 2005 l’ouverture formelle des nĂ©gociations d’adhĂ©sion avec
Ankara, les vingt-cinq chefs d’Etat et de gouvernement de l’Union
européenne, réunis en Conseil à Bruxelles, ont mis fin à une partie
du dĂ©bat. L’autre partie reste ouverte, au moins thĂ©oriquement : la
Turquie est-elle digne d’entrer dans l’UE ? Les prochaines annĂ©es
répondront à cette question.

Les nĂ©gociations promettent d’ĂȘtre longues – de dix Ă  quinze ans -,
mais guĂšre plus que pour l’Espagne et le Portugal. Elles seront
difficiles, car le pays d’AtatĂŒrk n’est pas un candidat « comme un
autre », dit-on. La formule diplomatique recouvre plusieurs réalités,
le poids démographique de la Turquie, qui, dans vingt ans, sera
l’Etat le plus peuplĂ© d’Europe, les Ă©carts de niveau de vie entre les
Turcs et la moyenne européenne mais aussi les écarts de développement
entre les différentes parties du pays. Elle est surtout une maniÚre
pudique d’Ă©voquer l’islam qui est la religion de la quasi-totalitĂ©
des Turcs, mĂȘme si cet islam n’est pas celui des pays arabes et si
l’Etat est officiellement laĂŻque.

Le reste n’est que technique. Les 30 chapitres de la nĂ©gociation,
avec leurs 80 000 pages de lois et rĂšglements qui doivent ĂȘtre
adaptĂ©s Ă  l’acquis communautaire ne sont que routine. Les
négociateurs de la Commission de Bruxelles les connaissent par coeur
pour les avoir déjà maintes fois passées au crible lors des
Ă©largissements prĂ©cĂ©dents. Les Turcs s’y sont frottĂ©s depuis quarante
ans qu’ils frĂ©quentent l’Europe en tant qu’associĂ©s.

Ils n’en ont pas moins encore du chemin Ă  parcourir. Certes, ces
derniÚres années ont été marquées en Turquie par des réformes
spectaculaires, encore accĂ©lĂ©rĂ©es par l’arrivĂ©e au pouvoir des
islamistes modérés du Parti de la justice et du développement (AKP)
de Recep Tayyp Erdogan, trop content d’en finir avec l’emprise des
militaires sur la vie politique. Mais dans bien des domaines, droits
de l’homme, justice, police, etc., il faut passer des textes de loi Ă 
la réalité.

La Turquie doit en outre se réconcilier définitivement avec ses
voisins et avec elle-mĂȘme, avec son histoire. Elle doit accepter de
faire ce travail sur le passĂ© que d’autres pays europĂ©ens ont fait
pour devenir des sociétés vraiment démocratiques. On pense à la
conscience douloureuse du peuple allemand par rapport Ă  la Shoah. La
nĂ©gation du gĂ©nocide des ArmĂ©niens en 1915 n’aide pas la Turquie Ă  se
libĂ©rer de son histoire en l’assumant pleinement.

Une des qualitĂ©s principales de l’Union europĂ©enne est d’encourager
les impétrants à se réformer, à se moderniser, à respecter le droit
des minoritĂ©s, Ă  rompre avec les tentations hĂ©gĂ©monistes. Il n’y a
pas de raison pour que cette vertu pédagogique ne fonctionne pas avec
les Turcs. Le choix pour eux est donc clair : s’ils remplissent les
conditions posĂ©es par l’Union europĂ©enne, ils en seront membres Ă 
part entiĂšre dans dix Ă  quinze ans. Il leur revient de saisir cette
chance.

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De l’empire ottoman Ă  AtatĂŒrk, une lente occidentalisation ;

Le Monde
18 décembre 2004

UNION EUROPÉENNE – L’Europe exige de la Turquie une dĂ©mocratisation «
irréversible »

Henri de Bresson

DEPUIS six cents ans, l’histoire de la Turquie ottomane, puis
KĂ©maliste est liĂ©e Ă  l’histoire de l’Europe, d’abord dans ses
relations avec Constantinople, l’actuelle Istanbul, dont l’absorption
en 1453 lui ouvre la voie de la puissance. Puis par ses conquĂȘtes,
qui l’installĂšrent jusqu’aux portes de Venise et de Vienne. Enfin,
aprĂšs l’effondrement de l’empire, par les convoitises qu’elle suscite
encore dans le jeu des puissances : courtisée par les nazis et les
Alliés pendant la seconde guerre mondiale, elle devient ensuite un
enjeu stratĂ©gique essentiel, face Ă  l’Union soviĂ©tique, pour les
Occidentaux, qui l’intĂšgrent Ă  toutes les structures europĂ©ennes, Ă 
commencer par l’Alliance atlantique.

Pendant quatre siĂšcles, les peuples balkaniques sont partie
intĂ©grante d’un empire qui rĂšgne sur tout le monde arabe et, en
Europe, englobe la GrĂšce, la Serbie et l’Albanie, l’actuelle
Bulgarie, la Hongrie, Ă©tendant son influence au-delĂ  encore, vers la
Roumanie, les rives de la mer Noire. « Le chef en était le sultan,
commandeur des croyants, la loi en Ă©tait la charia de l’islam, et les
mosquĂ©es devaient partout ĂȘtre plus hautes que les Ă©glises. Mais
celles-ci demeuraient », écrit le professeur Castellan dans sa
magistrale Histoire des Balkans.

Istanbul, qui fut la capitale de cet empire, un pied de chaque cÎté
de la Corne d’or, symbolise cette double emprise europĂ©enne et
asiatique. « Toute l’histoire de la Turquie, depuis l’Empire romain,
a Ă©tĂ© la recherche d’un choix entre l’Asie et l’Europe. TantĂŽt elle a
penchĂ© vers l’Asie, tantĂŽt elle a penchĂ© vers l’Europe. Si bien que
la question qui se pose aujourd’hui, ce n’est pas de savoir si elle
est d’Asie ou d’Europe. La question qui se pose aujourd’hui, c’est de
savoir quel est l’intĂ©rĂȘt de l’Europe », soulignait mercredi soir,
dans son interview télévisée, le président Jacques Chirac.

Dans l’image collective europĂ©enne, le Croissant ottoman, repoussĂ© Ă 
deux reprises devant Vienne, en 1529 et 1683, reste le symbole de la
lutte de la chrétienté contre les « infidÚles ». Mais, observe
Georges Castellan, « le monde ottoman ne fut pas un monde clos ». Au
contact de ses sujets et de ses rivaux européens, « la Porte » subit
les influences des mouvements d’idĂ©e qui se font jour dans le reste
de l’Europe.

Lorsque l’empire commence Ă  dĂ©cliner, et qu’il doit affronter la
montĂ©e des nationalismes dans ses Etats du sud-est de l’Europe, il se
tourne vers la modernité occidentale, dÚs le début de XIXe siÚcle,
pour ne pas perdre pied. En 1839, une charte impériale, la charte de
GĂŒlkhĂąne, est promulguĂ©e, qui lance un trĂšs important mouvement de
réformes, les Tanzimùt. Il aboutira quarante ans plus tard, en 1976,
à une premiÚre et éphémÚre Constitution. Pendant toute cette période,
souligne Paul Dumont dans L’histoire de l’empire ottoman, publiĂ©e
sous la direction de Robert Mantran, « l’Etat ottoman, les yeux fixĂ©s
sur l’Europe, cherche son salut dans le dĂ©calquage des modĂšles que
celle-ci offre en pùture ». Centralisation administrative,
modernisation de l’appareil Ă©tatique, occidentalisation de la
société, sécularisation : on retrouve déjà avec les Tanzimat cette
fascination des Ă©lites turques pour le modĂšle occidental, qu’elles
essaient de conjuguer avec l’islam.

L’effondrement de l’empire, dont les EuropĂ©ens s’accaparent
progressivement les morceaux sur le pourtour arabe de la
MĂ©diterranĂ©e, les guerres d’indĂ©pendance qu’il entraĂźne dans les
Balkans, avec la Russie, mettront momentanément un terme à cette
expérience.

La période confuse qui suit, qui se termine avec le reflux sur
l’Anatolie, voit se forger un nationalisme turc qui hĂ©site entre le
pan-turquisme et l’Occident. C’est l’Ă©poque du gĂ©nocide armĂ©nien, de
l’expulsion des Grecs et autres minoritĂ©s, qui voit le rĂ©duit turc
s’homogĂ©nĂ©iser autour de la religion musulmane, vecteur de son
nationalisme. Kemal AtatĂŒrk, qui met un terme au dĂ©peçage aprĂšs la
premiĂšre guerre mondiale, tournera dĂ©finitivement la page de l’empire
ottoman, dont toute référence est bannie. Il construira une
RĂ©publique nationaliste et autoritaire, qui se veut occidentale et
sĂ©cularisĂ©e, et dont le modĂšle de dĂ©part s’inspire des expĂ©riences du
fascisme italien et du communisme soviétique. Seule religion
autorisĂ©e, l’islam est solidement encadrĂ© dans les structures
Ă©tatiques, qui pourvoient Ă  son entretien, mais interdit toutes ses
manifestations publiques, notamment vestimentaires.

Les fonctionnaires et leurs épouses doivent adopter une présentation
occidentale, le calendrier et l’alphabet deviennent ceux de l’Europe
chrĂ©tienne. L’expression des minoritĂ©s est bannie, conduisant aux
affrontements avec les Kurdes. L’armĂ©e, qui deviendra le garant du
modĂšle, ne pourra pas empĂȘcher la dĂ©mocratie occidentale, aprĂšs la
seconde guerre mondiale, de conquérir petit à petit ses droits.

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Les ArmĂ©niens disent non Ă  la Turquie dans l’Europe

EuroNews – Version Française
17 décembre 2004

Des milliers de représentants de la communauté arménienne ont
manifestĂ© aujourd’hui dans les rues de Bruxelles contre l’entrĂ©e de
la Turquie dans l’Union europĂ©enne.Venus notamment de France, oĂč la
communautĂ© armĂ©nienne est la plus importante, mais aussi d’Allemagne,
des Pays-Bas et de SuÚde, les manifestants se sont réunis à 5OO
mĂštres du bĂątiment oĂč se trouvaient les chefs d’Etat et de
gouvernement européens.

Ils veulent que l’Europe exige de la Turquie une reconnaissance du
gĂ©nocide armĂ©nien commis sous l’Empire Ottoman avant l’ouverture des
négociations.

Mais génocide ou massacre ? Là aussi les avis divergent aussi selon
les opinions comme nous le confie Robert Anciaux, professeur Ă 
l’UniversitĂ© libre de Bruxelles.

“Il y a eu des milliers, certainement plus d’un million de morts.
Mais peut-on parler de gĂ©nocide ou non ? Pour moi c’est une question
de mots et qu’il convient aux historiens de rĂ©gler. Le problĂšme c’est
que les Turcs doivent reconnaĂźtre quelque part qu’il y a eu un
massacre d’ArmĂ©niens.”

Les massacres et dĂ©portations d’ArmĂ©niens sous l’Empire ottoman de
1915 à 1919 ont fait 1 million et demi de morts pour les Arméniens,
250 000 pour la Turquie. Une dĂ©lĂ©gation des ArmĂ©niens d’Europe a
l’origine de la manifestation a Ă©tĂ© reçue par la prĂ©sidence
nĂ©erlandaise de l’Union europĂ©enne.

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La marche turque;

L’HumanitĂ©
17 décembre 2004

Vers la Turquie Ă  reculons * Un pays pourtant en voie de
transformation * Le gĂ©nocide armĂ©nien condition Ă  l’adhĂ©sion ?

par Okba Lamrani

Sommet. Le projet de texte sur la Turquie doit ĂȘtre adoptĂ©
aujourd’hui. Les conditions mises Ă  une Ă©ventuelle adhĂ©sion d’Ankara
– qui n’interviendrait pas avant dix oĂč quinze ans – sont sĂ©vĂšres.
Les Vingt-Cinq s’engagent dans cette nĂ©gociation Ă  reculons, d plus
que les perspectives d’Ă©lections en Allemagne et au Royaume-Uni et
celles des référendums sur le projet constitutionnel brouillent les
débats.

Bruxelles (Belgique),
envoyé spécial

Depuis le Conseil d’Helsinki il semblait acquis que la Turquie avait
vocation, Ă  terme, Ă  rejoindre l’Union europĂ©enne (UE) aux mĂȘmes
conditions que les pays entrĂ©s Ă  l’occasion des prĂ©cĂ©dents
élargissements. Certes, étant donné les différences de développement
entre la Turquie et l’UE, du moins Ă  quinze sinon vingt-cinq et
bientĂŽt Ă  vingt-sept avec l’arrivĂ©e de la Roumanie et de la Bulgarie,
il semblait raisonnable de renvoyer la perspective de l’adhĂ©sion
d’Ankara Ă  dix ans, voire Ă  quinze ans.
Le projet de conclusions du Conseil européen, consacré pour
l’essentiel Ă  ce sujet, qui circulait hier Ă  Bruxelles fait une
rapide mention à Helsinki en soulignant que « le Conseil avait
considéré que la Turquie était un pays candidat destiné à rejoindre
l’Union sur la base des mĂȘmes critĂšres que les autres pays candidats
». Pour l’essentiel il s’agit des critĂšres dits de Copenhague (droits
de l’homme, dĂ©mocratie, etc.).
aucune
garantie
Mais si le Conseil « salue les progrÚs décisifs réalisés par Ankara
dans son processus ambitieux de réformes », il additionne les
conditions dilatoires, ce qui n’avait pas Ă©tĂ© le cas lors du dernier
Ă©largissement. Ainsi devrait ĂȘtre mentionnĂ© dans le document final
que « les nĂ©gociations sur l’adhĂ©sion sont un processus ouvert dont
l’aboutissement ne peut ĂȘtre garanti Ă  l’avance ». On chercherait en
vain pareille clause lors des élargissements précédents.
On s’interrogeait toujours, hier, sur l’ajout d’une clause dite « de
sauvegarde permanente ». Elle permettrait d’interrompre durablement,
sinon dĂ©finitivement, les nĂ©gociations entre l’Union et Ankara. Cette
clause de sauvegarde (Ă  laquelle s’est vigoureusement opposĂ© le
Royaume-Uni) porterait essentiellement sur la question de Chypre, ou
encore sur celle de la non– reconnaissance du gĂ©nocide armĂ©nien.
Sur la premiĂšre question, il semble – Ă  l’heure oĂč ces lignes sont
Ă©crites – qu’Ankara et Nicosie pourraient effectuer des pas discrets
l’un vers l’autre. Il faut rappeler que le rĂ©fĂ©rendum organisĂ© par
l’ONU sur une rĂ©unification sous des conditions Ă  dĂ©finir a Ă©tĂ©
massivement approuvĂ©e par la partie turque de l’Ăźle et rejetĂ©e par la
partie grecque. Les experts de la Commission ont, semble-t-il, trouvé
une solution technique, sinon politique, au débat.
Depuis 1963 un accord d’union douaniĂšre a Ă©tĂ© signĂ© entre l’UE et la
Turquie. Cet accord a Ă©tĂ© Ă©tendu aux dix nouveaux membres – dont
Chypre. Cela signifierait une reconnaissance de facto de Chypre par
Ankara. En revanche la Turquie n’a pas Ă©voluĂ© d’un pouce sur la
question du gĂ©nocide, qui n’est pas Ă  l’ordre du jour du Conseil,
mĂȘme si Michel Barnier a insistĂ© pour qu’elle ne passe pas totalement
inaperçue. Jacques Chirac, lui, dans son intervention de jeudi soir,
renvoyait à la loi française condamnant le génocide.
Une demande de l’Autriche introduisant une nouvelle restriction Ă 
l’adhĂ©sion d’Ankara a Ă©tĂ© rejetĂ©e. Il s’agissait d’ajouter au
document qu’« en cas d’Ă©chec des nĂ©gociations », « un statut spĂ©cial
» serait proposĂ© Ă  la Turquie « sur la base d’un partenariat
privilĂ©giĂ© ». Il n’y a pas, en fait – hormis un aspect symbolique
incontestable -, de différence franchement fondamentale avec la
formule retenue : « un processus ouvert sans garantie par avance ».
D’autant que chaque État membre pourra Ă  chaque Ă©tape utiliser son
droit de veto.
On comprend dans ces conditions pourquoi le premier ministre
nĂ©erlandais, Ă  l’ouverture des travaux du Conseil, estimait : « Il
semble que l’on s’achemine vers un oui. » Mais il a prĂ©cisĂ© dans le
mĂȘme temps que cette dĂ©cision, devant ĂȘtre « unanime », restait
dĂ©pendante d’Ă©ventuels « dĂ©raillements ».
On l’aura compris, les Vingt-Cinq accueillent la Turquie Ă  reculons.
Pourtant, de Jaques Chirac en passant par Gerhard Schröder et Tony
Blair, la « turcophilie » est de rigueur. On comprend mal dÚs lors
les conditions draconiennes mises en place par le texte de Bruxelles.
Plusieurs explications sont possibles. Le Conseil consacrĂ© Ă  l’entrĂ©e
Ă©ventuelle d’Ankara d’ici dix ou quinze ans au sein de l’Union
coïncide avec les campagnes électorales sur le référendum en France.
Paris souhaiterait donc renvoyer le début des négociations avec
Ankara à la fin de 2005, voire au début de 2006. Il semble que la
date de septembre 2005, sous présidence britannique, ait été retenue.
En 2006 l’Allemagne procĂ©dera Ă  des Ă©lections gĂ©nĂ©rales et ne
souhaite pas qu’elles soient perturbĂ©es par la question turque.
Angela Merkel, la prĂ©sidente de l’opposition chrĂ©tienne-dĂ©mocrate
allemande, a déjà fait savoir que son parti fera tout son possible
pour dynamiter les accords de Bruxelles, prĂ©cisant mĂȘme : « En tout
Ă©tat de cause, quand nous serons au gouvernement en 2006 nous ferons
tout, avec des partenaires comme la France, pour Ă©viter que la
Turquie soit un membre Ă  part entiĂšre de l’UE. »
les kurdes pour l’intĂ©gration
Ainsi un sort spécial serait réservé à la Turquie : elle serait
europĂ©enne quand elle est le pilier oriental de l’OTAN, asiatique
lorsqu’elle prĂ©tend rattraper son retard de dĂ©veloppement en
s’arrimant Ă  l’Europe. Le refus d’intĂ©grer Ă  terme la Turquie dans
l’espace europĂ©en va Ă  l’encontre des attentes de la majoritĂ© de la
population, y compris les Kurdes pour qui l’intĂ©gration serait une
garantie supplémentaire de leur libre développement aprÚs des années
d’arbitraire oĂč mĂȘme leur langue Ă©tait interdite.
Enfin, le Conseil devait se pencher sur le cas du nucléaire iranien.
Le « comitĂ© de pilotage » de l’accord survenu le 15 novembre,
regroupant la France, l’Allemagne, le Royaume-Uni et l’Iran, s’est
rĂ©uni. Un coup d’envoi symbolique Ă  des nĂ©gociations pour un accord
global de coopĂ©ration nuclĂ©aire, Ă©conomique et politique entre l’Iran
et l’UE a ainsi Ă©tĂ© donnĂ©.
Okba Lamrani

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Une plaie arménienne toujours ouverte

L’HumanitĂ©
17 décembre 2004

GĂ©nocide. La reconnaissance par Ankara des massacres commis contre
les ArmĂ©niens en passe de devenir une condition Ă  l’adhĂ©sion.

La France, qui est le pays d’Europe qui compte le plus d’ArmĂ©niens, «
fera la demande dans le courant de la nĂ©gociation, d’une
reconnaissance de la tragédie qui a touché plusieurs centaines de
milliers d’ArmĂ©niens ». Le glissement sĂ©mantique de gĂ©nocide Ă  «
tragĂ©die » n’est pas passĂ© inaperçu et a Ă©tĂ© corrigĂ© par Jacques
Chirac qui a renvoyé à une loi votée au Parlement français à
l’unanimitĂ©, reconnaissant le gĂ©nocide. Le chef de l’État a ainsi
évité de condamner trop durement les autorités turques actuelles tout
en faisant valoir la nĂ©cessitĂ© d’un devoir de mĂ©moire.
Pour la France, le projet europĂ©en a Ă©tĂ© fondĂ© sur l’idĂ©e de la «
rĂ©conciliation » des États membres avec leur propre histoire, a
expliqué Michel Barnier. Au vu de la réaction du gouvernement turc le
temps de faire le travail de mémoire ne semble cependant toujours pas
ĂȘtre – d’actualitĂ©.
La rĂ©alitĂ© du gĂ©nocide est pourtant incontestable et a fait l’objet
de nombreuses Ă©tudes historiques. AprĂšs l’Ă©crasement des armĂ©es du
sultan par les Russes en 1914, la Sublime Porte a lancé le massacre
systématique contre la communauté arménienne qui a fait office de
bouc Ă©missaire, accusĂ© d’avoir pactisĂ© avec l’ennemi.
Avec l’effondrement de l’Empire ottoman et l’avĂšnement d’une
république turque dont le fondement est la laïcité, le refus de
reconnaĂźtre le gĂ©nocide s’explique en partie par le souvenir de
l’humiliation de 1914-1916 : Ankara ne veut plus entendre parler de
l’Empire ottoman et refuse depuis AtatĂŒrk d’endosser les massacres
d’ArmĂ©niens et encore moins la notion de gĂ©nocide.
Au total, les deux tiers de la population arménienne, sous
souverainetĂ© ottomane ont pĂ©ri lors des massacres. Aujourd’hui, il
reste moins de 40 000 Arméniens en Turquie, le génocide avait donné
des idĂ©es Ă  l’autre puissance de l’Axe Ă  savoir l’Empire
austro-hongrois, l’empereur Guillaume ne cachant pas sa sympathie
pour le sultan. De son cĂŽtĂ©, l’Allemagne, autre membre de l’Axe,
entretenait 12 000 hommes dans le sultanat. Ils avaient la haute main
sur les services secrets ottomans et ont, pour une part, supervisé le
massacre des – ArmĂ©niens.
Le gĂ©nocide des ArmĂ©niens allait ouvrir la voie a d’autres gĂ©nocides.
« Qui se souvient encore de l’extermination des ArmĂ©niens ? » se
serait exclamĂ© Hitler en 1939 Ă  la veille de l’extermination des
handicapés et avant celle des juifs.

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Le bon usage d’un paradoxe ;
HORIZONS DÉBATS

Le Monde
17 décembre 2004

Esther Benbassa

ISLAM et terrorisme sont devenus, depuis le 11 septembre 2001, un
couple insĂ©parable dans l’imaginaire occidental. DĂ©sormais,
l’appartenance religieuse occulte l’appartenance nationale. Un Turc,
un Saoudien ou un Egyptien sont d’abord perçus comme des musulmans,
dans un oubli complet de l’histoire particuliĂšre de chaque nation.
Cette vision globalisante de l’islam est d’ailleurs celle des
fondamentalistes musulmans eux-mĂȘmes, lesquels divisent le monde
entre infidĂšles judĂ©o-chrĂ©tiens d’un cĂŽtĂ© et musulmans de l’autre, et
elle apporte un renfort indirect Ă  leurs thĂšses belliqueuses.

Pourquoi l’Occident, largement sĂ©cularisĂ©, se montre-t-il incapable
de sortir de cet amalgame entre un islam lui-mĂȘme saisi comme
monolithique et les nations de religion musulmane ? Un tel Ă©tat
d’esprit, joint aux tensions actuelles sur la question de
l’intĂ©gration des immigrĂ©s d’origine musulmane, joue Ă©videmment
contre la Turquie.

En attendant, l’Europe ne cesse de lui prodiguer ses leçons de bonne
conduite et de l’admonester Ă  chaque dĂ©faillance prĂ©sumĂ©e. En Turquie
mĂȘme, certaines rĂ©formes sont effectivement mises en place en vue
d’une entrĂ©e Ă©ventuelle dans l’Union europĂ©enne, sans susciter sur
place trop de remous. Ce qui est un bon point. Ce n’est d’ailleurs
pas la premiĂšre fois que l’Europe impose aux Turcs de se rĂ©former et
que ceux-ci regardent vers l’Ouest.

Le dĂ©clin byzantin se double dĂšs le XIVe siĂšcle de l’avancĂ©e ottomane
dans les Balkans. Les sultans épousent des femmes chrétiennes,
apportant avec elles des conseillers chrétiens qui changent les
moeurs de cour. Avec la conquĂȘte de Constantinople en 1453, le modĂšle
byzantin est incorporé ; les Ottomans en deviennent en quelque sorte
les hĂ©ritiers, sur un territoire oĂč se mĂȘlent peuples slaves, grecs
et turcs.

François Ier est le meilleur alliĂ© de l’Empire ottoman et ouvre l’Ăšre
des Capitulations, ces traités qui octroient des facilités de
commerce et la libre circulation aux ressortissants français sur les
terres du Grand Turc et servent par la suite de modĂšle aux relations
avec les autres puissances européennes.

Dans le mĂȘme temps, les Ottomans considĂšrent avec dĂ©dain les
EuropĂ©ens, ces infidĂšles, ce qui les empĂȘche de se mettre en phase
avec les progrĂšs techniques, militaires et organisationnels d’un
Occident qu’ils ne rencontrent guĂšre que sur les champs de bataille Ă 
partir de la seconde moitié du XVIe siÚcle.

AprĂšs une pĂ©riode de repli relatif, des contacts s’Ă©tablissent de
nouveau un siÚcle et demi plus tard. Suivent des réformes militaires
d’inspiration europĂ©enne qui se prolongent au XIXe siĂšcle. Leur
rythme s’accĂ©lĂšre Ă  partir de 1839 sous la pression des puissances
occidentales au chevet de l’ « homme malade » de l’Orient.
L’Ă©ducation, l’administration, le droit sont directement touchĂ©s. On
somme aussi l’empire de faire des avancĂ©es en matiĂšre de libertĂ©
individuelle, d’Ă©galitĂ© et de dĂ©fense des minoritĂ©s chrĂ©tiennes, ce
qui profite aussi aux juifs locaux.

MĂȘme si les Ottomans cĂšdent Ă  la pression pour prĂ©server la
souverainetĂ© de l’empire, il va de soi que ces rĂ©formes n’auraient pu
aboutir si certaines franges de la sociĂ©tĂ© autochtone n’avaient
nourri elles-mĂȘmes un rĂ©el dĂ©sir d’occidentalisation.

C’est lĂ , et mĂȘme si elle devait ĂȘtre bien Ă©phĂ©mĂšre, qu’est proclamĂ©e
en 1876 la premiĂšre Constitution qu’ait connue un pays islamique.
C’est en exil, particuliĂšrement en France, que les Jeunes-Turcs
prĂ©parent la rĂ©volution de 1908 contre le rĂ©gime absolutiste, qu’ils
s’initient aux idĂ©es nationalistes modernes et au positivisme, et
s’inspirent du modĂšle français d’Etat-nation qu’ils importeront sur
place. Et c’est un autre Jeune-Turc, Mustapha Kemal, qui consacrera
la naissance de la Turquie moderne et instaurera la RĂ©publique en
1923, pour ensuite abolir le sultanat et le califat. Son régime
étatiste et à parti unique se conjugue avec une série de réformes
autoritaires allant dans le sens de l’occidentalisation et de la
sĂ©cularisation du pays, avec l’adoption du code civil suisse, du
calendrier grégorien, des noms de famille, la substitution de
l’alphabet latin Ă  l’alphabet arabe, le passage du jour hebdomadaire
de repos du vendredi au dimanche, l’abolition du fez au profit du
chapeau moderne, l’amĂ©lioration de la condition de la femme, avec
octroi du droit de vote et possibilité de siéger au Parlement, et la
campagne contre le port du voile. En 1928, l’islam n’est plus
religion d’Etat.

ParallĂšlement Ă  l’attrait exercĂ© par l’Occident, la Turquie kĂ©maliste
a aussi nourri, pour construire une identité et une langue nationales
« pures », un turquisme qui se ressourçait dans ses origines en Asie
centrale. Ce courant, en sommeil mais toujours présent, pourrait se
révéler rassembleur face au dépit que susciterait un refus européen.
L’orgueil national blessĂ© entraĂźnerait un enfermement que les
islamistes, sur place, sont prĂȘts Ă  exploiter pour faire dĂ©vier la
Turquie en direction de l’est, vers l’islam moyen-oriental, un islam
refoulĂ© et convoitĂ©, et en mĂȘme temps vers le berceau des Turcs,
l’Asie centrale, en pleine effervescence islamique.

Ce tournant se traduirait en politique Ă©trangĂšre par un panturquisme,
aspiration qui avait déjà germé il y a un siÚcle, parallÚlement au
dĂ©sir d’Europe. Ce ne serait qu’un pis-aller pour des Ă©lites formĂ©es
Ă  l’occidentale ou en Occident, et qui sont prĂȘtes Ă  suivre la marche
de l’UE.

En revanche, l’intĂ©gration de la Turquie Ă  l’Europe permettrait de
bloquer le fondamentalisme et le terrorisme Ă  ses portes. Elle est
économiquement plus développée que certains nouveaux ou prochains
membres de l’Union. En l’admettant Ă  part entiĂšre en son sein,
l’Europe favoriserait un avenir de dĂ©mocratie en terre d’islam
susceptible d’inspirer d’autres nations de la rĂ©gion.

Cette dĂ©mocratisation devrait ĂȘtre aussi garante de la rĂ©solution de
la question kurde et de la reconnaissance du génocide arménien. Ainsi
la Turquie serait-elle contrainte de sacrifier son nationalisme sur
l’autel de la dĂ©mocratie, de produire une mĂ©moire claire de ce
génocide, ce qui aura pour effet de réparer, au moins symboliquement,
une injustice et de commencer Ă  panser les blessures d’un peuple.

La xĂ©nophobie n’a pas touchĂ© que les ArmĂ©niens. La rigueur de
certaines lois promulguées en Turquie pendant la seconde guerre
mondiale et l’impĂŽt sur le capital, en 1942-1943, ont conduit en camp
de travail nombre de juifs ainsi que les membres des minorités
chrétiennes. Elles avaient pourtant été précédées, dans les années
1930, par l’accueil massif de savants juifs allemands. La mĂȘme
Turquie, en accordant des visas, a servi au mouvement sioniste de
lieu d’accueil pour ses militants fuyant le nazisme et en transit
pour la Palestine. Et c’est avec la Turquie, seul pays musulman de la
rĂ©gion dans ce cas, que l’Etat d’IsraĂ«l nouera des relations
diplomatiques dĂšs sa fondation.

Il ne s’agit certes pas d’oublier les dĂ©gĂąts causĂ©s aux minoritĂ©s non
musulmanes par son exclusivisme national, ni les vicissitudes
traversĂ©es par les Grecs lors de l’affaire de Chypre dans les annĂ©es
1950. Mais c’est lĂ  aussi que mes ancĂȘtres, descendants des juifs
expulsĂ©s d’Espagne chrĂ©tienne en 1492, ont pu vivre pendant des
siĂšcles. Une vingtaine de milliers de juifs y demeurent encore.

La Turquie est ce pays paradoxal oĂč l’islam le plus strict cĂŽtoie le
plus libĂ©ral, oĂč la femme voilĂ©e cĂŽtoie la femme la plus Ă©mancipĂ©e,
oĂč 25 % des enseignants du supĂ©rieur portant le titre de professeur
sont des femmes, oĂč la tradition est concurrencĂ©e par une
modernisation extrĂȘme et vice versa.

Ce paradoxe est une chance pour la Turquie, comme il l’est pour
l’Europe, invitĂ©e Ă  aller au-delĂ  des frontiĂšres du trĂšs fermĂ© club
chrĂ©tien, Ă  rejoindre sa limite orientale, Ă  nouer par lĂ  d’autres
rapports avec l’islam, et Ă  garantir sans doute les conditions de sa
propre sécurité.

Quant Ă  la Turquie, elle pourrait enfin solidement se rattacher Ă  un
Occident dont elle partage d’ores et dĂ©jĂ  les ambitions.

NOTES: Esther Benbassa est directrice d’Ă©tudes Ă  l’École pratique des
hautes Ă©tudes.

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L’Europe se prĂ©pare Ă  accueillir la Turquie en son sein dans dix ans

Le Monde
17 décembre 2004

UNION EUROPÉENNE;
Les conditions Ă©taient rĂ©unies, Ă  l’ouverture du Conseil europĂ©en,
jeudi soir Ă  Bruxelles, pour que les chefs d’Etat et de gouvernement
de l’ UE dĂ©cident de lancer les nĂ©gociations d’adhĂ©sion avec Ankara
en 2005. Les Vingt-Cinq recevront, vendredi, le premier ministre
turc, M. Erdogan

Arnaud Leparmentier et Philippe Ricard

BRUXELLES de notre bureau européen

RĂ©unis Ă  Bruxelles jeudi 16 et vendredi 17 dĂ©cembre, les chefs d’Etat
et de gouvernement europĂ©ens doivent donner leur aval Ă  l’ouverture
de nĂ©gociations d’adhĂ©sion avec la Turquie. Celles-ci vont ĂȘtre
ouvertes en 2005 et, si la Turquie poursuit sa démocratisation,
conduire Ă  une adhĂ©sion vers 2015, mĂȘme si aucune date n’est
explicitée.

Le président en exercice du conseil européen, Jan Peter Balkenende,
premier ministre chrĂ©tien-dĂ©mocrate des Pays-Bas, a indiquĂ© qu’un «
oui » pouvait ĂȘtre donnĂ© dĂšs jeudi soir, Ă  mois d’un « dĂ©raillement
». Les dirigeants des « 25 » devaient, au cours d’un dĂźner,
s’entendre sur la formulation de leur compromis, qui devrait, Ă  la
demande de la France notamment, prĂ©ciser que l’ouverture des
négociations ne signifie pas obligatoirement adhésion.

Vendredi, les chefs d’Etat et de gouvernement recevront le premier
ministre turc Recep Tayyip Erdogan, qui a haussé le ton une derniÚre
fois, menaçant de « geler » la candidature de son pays si les
conditions posĂ©es Ă©taient « inacceptables ». « Si c’est le cas, alors
nous mettrons cette affaire au réfrigérateur et nous poursuivrons
notre chemin », a-t-il affirmé, soucieux de ne pas perdre la face
vis-Ă -vis de son opinion.

Les nĂ©gociations devraient commencer Ă  l’automne 2005. Cette date
mĂ©nage la France, qui ne veut pas que l’affaire turque se tĂ©lescope
avec le référendum sur la Constitution, et la Turquie, qui souhaite
débuter les pourparlers « sans délai », comme promis en 2002.
Entretemps, les experts de la Commission auront passé au crible la
législation turque, pour voir toutes les adaptations nécessaires à
l’entrĂ©e dans l’Union.

UNE DATE « POLITIQUE »

L’adhĂ©sion de la Turquie ne pourra pas intervenir avant 2014, les
EuropĂ©ens ayant expliquĂ© qu’ils ne pouvaient pas financer son
adhésion avec le budget européen, en cours de négociation, qui couvre
la pĂ©riode 2007-2013. D’ici lĂ , les « 25 » devront trouver le moyen
d’intĂ©grer la Turquie dans les politiques de solidaritĂ© et agricole,
soit en réformant ces politiques, soit en augmentant le budget
communautaire.

Il s’agit d’un « cliquet », car sans cette contrainte, les
nĂ©gociations techniques pourraient ĂȘtre bouclĂ©es rapidement,
notamment parce que le pays est déjà en union douaniÚre avec
l’Europe. « Cinq ans pour la Turquie, c’est tout Ă  fait faisable pour
un pays dĂ©jĂ  trĂšs intĂ©grĂ© dans l’Ă©conomie europĂ©enne. Elle ne sort
pas de la planification soviétique. La date de 2014 est politique et
pas technique », affirme un haut fonctionnaire de la Commission, qui
juge qu’il faut aller vite. « Il est politiquement intenable d’avoir
une négociation qui dure dix ans. Cela fait tous les jours la Une des
journaux, le gouvernement doit montrer des résultats et si cela dure
trop, cela crée de graves tensions politiques. »

L’autre aspect des nĂ©gociations est politique et dĂ©pend
essentiellement d’Ankara. Les EuropĂ©ens, qui jugent que la Turquie
respecte « suffisamment » les critÚres démocratiques dits de
Copenhague, vérifieront chaque année les progrÚs. En cas de violation
des droits de l’homme, les pourparlers pourront ĂȘtre interrompus par
une majoritĂ© qualifiĂ©e d’Etats membres.

La Turquie devra profiter des négociations pour régler ses différends
avec ses voisins. Le premier problĂšme concerne Chypre, dont la partie
nord est occupĂ©e par l’armĂ©e turque et dont le gouvernement chypriote
grec n’est pas reconnu par Ankara. De mĂȘme, la Turquie devra
normaliser ses rapports avec l’ArmĂ©nie, tandis que la France lui a
demandé de faire un « effort de mémoire » sur le génocide arménien.
L’expĂ©rience de l’Ă©largissement Ă  l’Europe centrale a montrĂ© que ce
processus de rĂ©conciliation n’Ă©tait pas partie intĂ©grante de la
négociation mais progressait de maniÚre parallÚle.

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Le plaidoyer de M. Chirac en faveur d’Ankara suscite de vives rĂ©actions ;

Le Monde
17 décembre 2004

UNION EUROPÉENNE – L’Europe se prĂ©pare Ă  accueillir la Turquie en son
sein dans dix ans

par BĂ©atrice Gurrey

LA RÉPONSE du prĂ©sident de la RĂ©publique a sujet de l’entrĂ©e de la
Turquie dans l’Union europĂ©enne tient en deux mots : « Oui, si ».

A la veille du sommet europĂ©en de Bruxelles sur l’ouverture de
négociations avec la Turquie, Jacques Chirac a justifié en un peu
plus d’un quart d’heure, mercredi 15 dĂ©cembre sur TF1, sa position,
sans convaincre la droite.

« Oui » Ă  l’entrĂ©e de la Turquie, a expliquĂ© M. Chirac, parce que
cette adhésion renforcerait « la paix et la stabilité », fondement du
projet europĂ©en, parce qu’elle permettrait « l’enracinement de la
dĂ©mocratie et des droits de l’homme », parce qu’elle favoriserait «
le développement économique et social ». Oui, enfin, parce que «
l’Europe est un peu petite face aux grands ensembles du monde ».

Ce « oui » reste cependant thĂ©orique et lointain, puisqu’il ne
s’applique que « si la Turquie remplit la totalitĂ© des conditions qui
s’imposent Ă  tout candidat Ă  notre union ». C’est-Ă -dire, a expliquĂ©
M. Chirac, « qu’elle transforme profondĂ©ment ses valeurs, ses modes
de vie, ses rÚgles ».

Le prĂ©sident s’est appliquĂ© Ă  dĂ©miner le terrain face Ă  une opinion
publique majoritairement rétive. Il a fait valoir « les efforts
considérables », déjà accomplis par la Turquie. Il a assuré que «
négociation, effectivement, cela ne veut pas dire adhésion », chaque
pays conservant, au long de discussions appelées à durer dix ou
quinze ans « le droit de tout arrĂȘter ». Il a rappelĂ© que la Turquie
frappait Ă  la porte de l’Europe depuis 1963 et que, depuis, « pas un
seul chef d’Etat, pas un seul premier ministre français n’a contestĂ©
la vocation européenne de la Turquie ». Il a souligné enfin que les
Français auraient « le dernier mot », par référendum.

M. Chirac a aussi souligné que la Turquie avait penché « tantÎt vers
l’Asie, tantĂŽt vers l’Europe » : « Notre intĂ©rĂȘt est qu’elle penche
vers l’Europe », a-t-il affirmĂ©, invitant Ă  sortir d’une logique de «
guerre des civilisations, de guerre des cultures ». Il a également
souligné que la Turquie était « un pays laïque ».

En cas d’Ă©chec des nĂ©gociations, le prĂ©sident a rejetĂ© l’idĂ©e de «
partenariat privilégié », défendue par la droite. Demander à un pays
« des efforts aussi considérables pour arriver à un résultat
alĂ©atoire ou partiel, ce n’est Ă©videmment pas raisonnable », a
tranchĂ© le chef de l’Etat.

Il a refusĂ© de poser pour condition Ă  l’ouverture des nĂ©gociations la
reconnaissance du gĂ©nocide armĂ©nien par la Turquie. La France l’a
reconnu – « Il y a une loi qui a Ă©tĂ© votĂ©e », a-t-il rappelĂ©, voulant
ainsi mettre fin à la polémique sémantique autour des termes employés
par le ministre des affaires Ă©trangĂšres, Michel Barnier. Quant Ă  la
Turquie, elle devra faire « un effort de mémoire ». « Je ne doute
pas, bien sĂ»r, qu’elle le fera », a-t-il assurĂ©.

Le prĂ©sident est restĂ© vague, « disons, en 2005 », sur l’ouverture
des nĂ©gociations. Il n’a pas plus acceptĂ© de s’engager sur la date du
référendum sur la Constitution européenne, qui relÚve, cette fois,
entiÚrement de lui. DÚs que le processus de la réforme
constitutionnelle, préalable indispensable, « sera suffisamment
engagĂ©, j’indiquerai la date (…) que j’aurai retenue comme Ă©tant la
mieux Ă  mĂȘme d’ouvrir le rĂ©fĂ©rendum », a-t-il dit.

Seul un chiraquien patenté comme Bernard Accoyer, président du groupe
UMP de l’AssemblĂ©e nationale, a estimĂ©, mercredi, que M. Chirac avait
dĂ©fendu « une vision ambitieuse pour la France et l’Union europĂ©enne
».

Depuis JĂ©rusalem, le nouveau prĂ©sident de l’UMP, Nicolas Sarkozy, a
jugé que la position du président était « une difficulté
incontestable ». Il a fait valoir que l’opinion et l’essentiel de la
majoritĂ© Ă©taient opposĂ©s Ă  l’adhĂ©sion de la Turquie, se prononçant
lui-mĂȘme pour le « partenariat ». Le prĂ©sident de l’UDF, François
Bayrou, a « entendu le président avec tristesse, avec colÚre »,
a-t-il dit, jeudi sur RTL, accusant M. Chirac de céder à la pression
internationale.

Robert Badinter, sénateur des Hauts-de-Seine (PS), estime jeudi, dans
Le Parisien, qu’« une dĂ©cision d’une telle portĂ©e aurait dĂ» faire
depuis longtemps l’objet d’un dĂ©bat public ». Accusant le prĂ©sident
d’un « exercice solitaire et orgueilleux du pouvoir », il juge qu’au
regard des droits de l’homme, la Turquie ne devrait « mĂȘme pas » ĂȘtre
admise comme candidate.

François Hollande, lui, rappelle que « l’ouverture de nĂ©gociations ne
doit pas prĂ©juger de l’issue », l’adhĂ©sion n’Ă©tant « pas automatique
», ce qu’a rappelĂ©, au fond, M. Chirac.

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Philippe de Villiers s’accapare la campagne du « non » ;

Le Monde
17 décembre 2004

UNION EUROPÉENNE – L’Europe se prĂ©pare Ă  accueillir la Turquie en son
sein dans dix ans

par Christiane Chombeau

UN grand Ă©clat de rire traverse la salle oĂč se serrent environ 800
personnes. A la tribune, Philippe de Villiers, président du Mouvement
pour la France, enchaĂźne plaisanteries et jeux de mots. L’objet de
ses railleries : le « oui » de Jacques Chirac Ă  l’ouverture des
nĂ©gociations sur l’entrĂ©e de la Turquie dans l’Union europĂ©enne. « Il
a troquĂ© la tĂȘte de veau contre la tĂȘte de Turc ! » lance-t-il.
Auparavant, il s’en Ă©tait pris Ă  « l’ancien CorrĂ©zien qui prĂ©fĂšre le
plateau de l’Anatolie au plateau des Mille Vaches ».

Ce meeting d’opposants Ă  l’entrĂ©e d’Ankara dans l’Europe, organisĂ©
jeudi soir 15 dĂ©cembre Ă  Paris, devait ĂȘtre la premiĂšre rĂ©union
unitaire des partisans du « non » de droite à la Constitution. Il a
tourné au grand show Philippe de Villiers. Depuis le choix des
socialistes pour le « oui », le président du conseil général de
VendĂ©e se rĂȘve en chef de file du « non » au rĂ©fĂ©rendum. Une
plate-forme pour 2007.

Ne s’y trompant pas, le prĂ©sident de l’association Debout la
République, Nicolas Dupont-Aignant, représentant des « nationaux
rĂ©publicains » Ă  l’UMP, a dĂ©clarĂ© forfait au dernier moment –
officiellement pour des motifs personnels – et s’est fait remplacer
par le secrĂ©taire gĂ©nĂ©ral de l’association, Jean Pierre Le Poulain.
Etaient également présents, Jean-Paul Bled, président du
Rassemblement pour l’indĂ©pendance et la souverainetĂ© de la France
(RIF), et Henri de Lesquen, prĂ©sident du Club de l’Horloge,
passerelle entre droite et extrĂȘme droite.

DĂ©cidĂ©ment trĂšs en verve, le prĂ©sident du MPF s’est gaussĂ© du
référendum promis par le président de la République sur la Turquie :
« Nous réclamions un référendum. Tout à coup, on nous en promet deux.
Un au printemps et un dans 15 ans. Moi je propose qu’on fasse des
économies. Un seul suffira ! », a-t-il ainsi clamé en invitant les
Français à lier la question turque au référendum sur la Constitution,
« deux dossiers siamois ».

Philippe de Villiers a égréné en vrac ses raisons : « La Turquie
n’appartient pas Ă  l’Europe » ; « c’est un rĂ©servoire de bombes Ă 
retardement avec les séparatistes kurdes et les terroristes
islamistes » ; « elle a une frontiĂšre avec l’axe de l’Ă©pouvante »,
l’Irak ; « tous les Turcs vont venir chez nous » ; la Turquie « ne
respecte pas les droits de la personne humaine » et nie « le génocide
arménien ». « En France il y a une loi précise qui punie le
négationnisme, une loi juste. En Turquie, il y a une loi qui protÚge
le négationnisme », a-t-il dit, avant de se faire applaudir sur un
tonitruant « Nous sommes tous des Arméniens de France ! ».

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Le Parlement europĂ©en se prononce Ă  une large majoritĂ© pour l’entrĂ©e de la Turquie dans l’UE ;

Le Monde
17 décembre 2004

UNION EUROPÉENNE;
Les droites française et allemande, hostiles Ă  l’adhĂ©sion turque,
sont minoritaires

par Rafaële Rivais

STRASBOURG de notre bureau européen

En dĂ©pit d’une campagne intense des droites allemande, française et
autrichienne, le Parlement européen a voté largement, mercredi 15
dĂ©cembre Ă  Strasbourg, en faveur de l’ouverture de nĂ©gociations
d’adhĂ©sion avec la Turquie – 407 voix pour, 262 contre et 29
abstentions. Ce vote n’a pas de valeur contraignante, mais il donne
une caution démocratique à la décision que devraient prendre les
dirigeants européens, le 17 décembre.

Fait exceptionnel, ce scrutin s’est tenu Ă  bulletins secrets. La
gauche et les libĂ©raux s’y sont opposĂ©s en vain, aprĂšs avoir fait
valoir que « les citoyens européens ont le droit de savoir comment se
prononcent leurs représentants ». Ils ont brandi de petites pancartes
exprimant le sens de leur vote, au moment du scrutin.

C’est Ă  la demande d’eurodĂ©putĂ©s allemands, français et autrichiens
du Parti populaire européen (PPE, droite), que le secret a été
imposé. « Un grand nombre de nos collÚgues britanniques, espagnols,
grecs et chypriotes nous avaient expliquĂ© qu’ils voulaient voter
contre l’ouverture des nĂ©gociations, mais qu’ils n’osaient pas
désobéir aux consignes de leurs gouvernements, explique Margie Sudre,
la prĂ©sidente de la dĂ©lĂ©gation de l’UMP. Ce sont eux qui nous ont
priés de faire cette démarche », ajoute-t-elle. « Le résultat est
dĂ©cevant, le politiquement correct l’a emportĂ© », a rĂ©agi son
collĂšgue Alain Lamassoure.

La résolution que le Parlement européen a adoptée, à la demande de
son rapporteur, Camiel Eurlings (PPE, Pays-Bas), demande l’ouverture
des négociations, « sans délai superfétatoire ». Elle affirme que le
processus de nĂ©gociation est « ouvert », qu’il « ne conduit pas
automatiquement Ă  l’adhĂ©sion », mais insiste sur le fait que «
l’objectif des nĂ©gociations est bien l’adhĂ©sion de la Turquie Ă 
l’Union europĂ©enne ».

A une large majorité (415 voix contre 259), le Parlement a rejeté
l’alternative du « partenariat privilĂ©giĂ© », que dĂ©fendait Jacques
Toubon (UMP). C’est Ă  une majoritĂ© encore plus Ă©crasante (455 voix
contre 199 et 25 abstentions) qu’il a rejetĂ© un amendement de
l’Autrichienne Ursula Stenzel, proche du chancelier conservateur
Wolfgang SchĂŒssel, prĂ©conisant d’ « autres options » que l’adhĂ©sion.

« Le Parlement ne veut pas de plan B, il est pour une adhésion pleine
et entiÚre de la Turquie », a commenté le président du Parlement,
Josep Borrell (socialiste espagnol), lors d’une confĂ©rence de presse.
Les eurodĂ©putĂ©s ont refusĂ© d’ajouter toute nouvelle condition
prĂ©alable Ă  l’ouverture des nĂ©gociations. Ils rĂ©clament des autoritĂ©s
turques « la reconnaissance formelle de la réalité du génocide des
ArmĂ©niens en 1915 », sans leur imposer de date. De mĂȘme, ils les
invitent Ă  retirer leurs troupes d’occupation de Chypre et notent que
l’ouverture de nĂ©gociations implique la reconnaissance de ce pays,
sans en faire là non plus un préalable.

La question turque a divisé la plupart des groupes politiques. Les
Français, toutes tendances confondues, se sont montrés sensibles aux
dolĂ©ances de l’importante communautĂ© armĂ©nienne qui vit dans
l’Hexagone. Les Français, les Allemands et les Autrichiens du PPE ont
été rejoints par quelques Anglais et Polonais. Les socialistes
français n’ont pas tous suivi la ligne de Michel Rocard, pour qui
l’ouverture de l’Union Ă  un pays musulman « constitue une
contribution majeure à la paix entre les peuples ». « Je me suis
abstenu sur la rĂ©solution finale, dans la mesure oĂč elle ne propose
pas de solution alternative Ă  l’adhĂ©sion », indique Bernard Poignant,
leur président, en rappelant que son vote est « conforme aux
instructions du bureau national du PS ».

Les dĂ©mocrates de l’UDF, qui ne veulent pas « diluer le projet
politique européen dans une zone de libre-échange », se sont
dissociĂ©s des libĂ©raux. ExtrĂȘme droite et souverainistes ont aussi
voté contre.

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Chirac sur la réserve au Conseil européen;

Le Figaro
17 décembre 2004

La prioritĂ© est dĂ©sormais l’explication de texte auprĂšs des citoyens
et des Ă©lus

Luc de BAROCHEZ

Pour Jacques Chirac, le champ de bataille ne se trouve pas Ă 
Bruxelles mais Ă  Paris. En arrivant hier aprĂšs-midi dans le massif
bùtiment du Conseil européen, le président de la République avait en
poche la dĂ©cision pour laquelle il a militĂ© des annĂ©es : l’ouverture
des nĂ©gociations d’adhĂ©sion de la Turquie Ă  l’Union europĂ©enne.
L’objectif Ă©tait affichĂ© noir sur blanc dans le relevĂ© de conclusions
soumis hier soir aux chefs d’Etat et de gouvernement des Vingt-Cinq.
Il ne restait plus Ă  Chirac qu’Ă  engager un combat d’arriĂšre-garde
afin d’obtenir qu’au cas, bien hypothĂ©tique, d’un Ă©chec des
nĂ©gociations d’adhĂ©sion, la Turquie reste attachĂ©e Ă  l’Europe par un
« lien fort ».

Le vrai défi, relevé par Jacques Chirac, consiste à assumer son choix
devant l’opinion publique française et, surtout, dans sa propre
majoritĂ©. L’offensive politique et mĂ©diatique est engagĂ©e depuis
l’entretien tĂ©lĂ©visĂ© du chef de l’Etat avant-hier. Elle se poursuit
aujourd’hui avec la confĂ©rence de presse qu’il doit donner Ă 
Bruxelles, Ă  l’issue du Conseil europĂ©en. Elle va continuer Ă  se
livrer dans les jours qui viennent. Jacques Chirac a demandé à son
ministre des Affaires Ă©trangĂšres, Michel Barnier, de reporter Ă 
janvier un déplacement prévu en début de semaine prochaine en
Afghanistan et au Pakistan. Le chef de la diplomatie française, qui a
fait ses classes à Bruxelles, est prié de se concentrer sur
l’explication de texte du Conseil europĂ©en auprĂšs des citoyens et des
Ă©lus.

Le premier enjeu, capital, de la conquĂȘte de l’opinion publique se
joue dÚs 2005. Le président de la République doit faire ratifier par
les Français, par référendum, le projet de traité constitutionnel
européen. Malgré le oui exprimé au début du mois par les militants du
Parti socialiste, le match n’est pas gagnĂ©. C’est pourquoi Jacques
Chirac essaye d’empĂȘcher toute contagion, afin que le non de beaucoup
de Français à la Turquie ne devienne un non à la Constitution censée
permettre à la grande Europe de fonctionner. Du point de vue élyséen,
ce serait une catastrophe de premiĂšre grandeur, qui minerait
l’influence de la France au sein de l’Union europĂ©enne.

Dans ce but, le président de la République a fait entourer la
dĂ©cision du Conseil europĂ©en d’une sĂ©rie de garde-fous, censĂ©s
l’aider Ă  convaincre les Français que l’ouverture des nĂ©gociations
avec Ankara ne signifie pas une adhésion automatique. Le processus
est maintenu ouvert et son issue « n’est pas garantie ». Chirac
comptait hier soir sur le soutien du chancelier Gerhard Schröder pour
obtenir que l’hypothĂšse d’un Ă©chec des nĂ©gociations soit
explicitement mentionnée dans le paragraphe des conclusions
concernant la Turquie.

Le chef du gouvernement allemand a promis son appui lorsqu’il a reçu
Ă  dĂ©jeuner le chef de l’Etat français il y a deux semaines Ă  LĂŒbeck,
Ă  condition que le lien avec Ankara reste indĂ©fini. Il n’est plus du
tout question d’un « partenariat privilĂ©giĂ© ». Les diplomates
français relÚvent aussi, parmi les garde-fous, que les négociations
pourront ĂȘtre suspendues Ă  tout moment en cas d’atteinte aux droits
de l’homme ; qu’un systĂšme de surveillance permettra rĂ©guliĂšrement au
Conseil européen de faire le point politique des négociations ;
qu’aucune date d’aboutissement des pourparlers n’est mentionnĂ©e ; et
qu’enfin l’adhĂ©sion sera financiĂšrement impossible avant 2014 au
moins. Pour les problĂšmes toujours en suspens, comme le rĂšglement de
la question chypriote ou la reconnaissance par la Turquie du génocide
des Arméniens en 1915, les responsables français comptent sur la
dynamique générée par la négociation pour aboutir à des solutions
dans les années qui viennent, et en tout cas avant la fin des
pourparlers. « Quand on lance un mouvement, il rĂ©sout de lui-mĂȘme des
difficultés », estime un diplomate.

Hier soir, les diplomates français s’efforçaient d’effacer
l’impression que les dĂ©cisions du Conseil europĂ©en Ă©taient nĂ©gociĂ©es
avec le premier ministre turc, Recep Tayyip Erdogan, présent à
Bruxelles. Jacques Chirac, contrairement Ă  plusieurs de ses
homologues, s’est ainsi abstenu de le rencontrer. « C’est Ă  la
Turquie de s’adapter Ă  l’Europe, pas l’inverse », disait-on dans la
dĂ©lĂ©gation française. Reste Ă  en convaincre les Français. L’effort
pédagogique ne fait que commencer.

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La longue marche turque de l’Union
PAR FRANÇOISE CROUÏGNEAU

Les Echos
17 décembre 2004

Conscients des réticences de leurs opinions publiques, les Vingt-Cinq
ont franchi, d’un pas frileux, le Rubicon : l’adhĂ©sion Ă  l’Union est
dĂ©sormais ouverte Ă  la Turquie. A l’issue d’une longue marche – dix
ans, quinze ans… – dont chacun sait qu’il sortira transformĂ©. Pour
le meilleur ou pour le pire ? Pour le meilleur, assurent les
dirigeants turcs. Sans cette promesse d’ancrage europĂ©en, ils ne
voient pas comment poursuivre sur la voie des réformes qui leur a
permis, depuis trois ans, de brûler bien des étapes. Et de jeter les
bases d’un nouveau type de rĂ©publique dĂ©mocratique aprĂšs celle,
autoritaire mais laïque, héritée du kémalisme.

Reste que si la facultĂ© d’adaptation de la Turquie n’a pas fini de
nous étonner, ses fragilités économiques, sociales, politiques en
font frissonner plus d’un.

Ce n’est qu’au fil des annĂ©es que pourront ĂȘtre levĂ©es les
hypothĂšques qui demeurent. Sur les droits de l’homme, le devoir de
mĂ©moire sur le gĂ©nocide armĂ©nien. Comme sur l’Ă©volution des
mentalitĂ©s d’un pays dont l’identitĂ© est pĂ©trie d’un islam modĂ©rĂ©
mais oĂč cohabitent une Ă©lite Ă©clairĂ©e et une population dĂ©munie
n’ayant qu’une idĂ©e confuse de ce que sont la construction europĂ©enne
et ses valeurs. Une fois retombée la joie de la consécration, aprÚs
quarante ans de course d’obstacles vers l’ouverture des nĂ©gociations
avec l’Union, le principal danger pour les Turcs viendra sans doute
d’un excĂšs d’espoir. Car leur modernisation et leur avenir sont,
avant tout, entre leurs mains.

Le dĂ©fi de l’Union est d’un tout autre ordre. AprĂšs avoir couru
derriÚre son Histoire, il lui faut désormais tirer les leçons de ses
élargissements passés et futurs. Pour avoir trop longtemps escamoté
les débats sur le dossier turc et les avoir vus resurgir sur les
terrains les plus inattendus, comme c’est encore le cas sur la
Constitution européenne en France, les Vingt-Cinq ont découvert les
atouts de la transparence. DĂ©couvriront-ils ceux du courage politique
et de l’imagination ? Soudain pris de vertige Ă  l’idĂ©e d’une
hypertrophie incontrĂŽlable, ils s’interrogent discrĂštement sur leurs
frontiĂšres. AprĂšs ĂȘtre sortis de leur traditionnelle retenue
vis-à-vis de la Russie de Vladimir Poutine pour dénoncer ses méthodes
face Ă  la « rĂ©volution orange » en Ukraine, ils s’empressent
aujourd’hui de parler Ă  Kiev de politique de voisinage et de
partenariat privilĂ©giĂ© pour mieux repousser le rĂȘve d’une adhĂ©sion
pleine et entiĂšre. Histoire de reprendre souffle. Et mieux Ă©valuer
les atouts comme les handicaps économiques et stratégiques que
confĂšre, Ă  terme, l’entrĂ©e d’un vaste pays disposant, comme la
Turquie, d’un rĂ©el potentiel et d’une puissante armĂ©e. Un pays qui
n’est infĂ©odĂ© Ă  personne, pas mĂȘme aux Etats-Unis. Mais qui repousse
les frontiĂšres de l’Union aux portes de l’Iran, de la Syrie et de
l’Irak.

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Une négociation encadrée; EvÚnement 1. Europe

Libération
17 décembre 2004

DUBOIS Nathalie,QUATREMER Jean

Bruxelles (UE) envoyés spéciaux

L’adhĂ©sion de la Turquie diffĂ©rera de tous les Ă©largissements
prĂ©cĂ©dents, en raison de la taille, de la population, de l’Ă©conomie
et du potentiel militaire de ce pays. Sans parler, bien sûr, de sa
foi musulmane, puisque la religion sort des compĂ©tences de l’Union.
Malgré ces différences, la Turquie est, sur le papier, soumise aux
mĂȘmes critĂšres d’adhĂ©sion que les autres candidats.

Sur quoi portent les négociations ?

L’adhĂ©sion dĂ©pendra de la capacitĂ© de la Turquie Ă  se hisser aux
normes en vigueur dans l’Union, qu’elles soient politiques,
Ă©conomiques ou juridiques. MalgrĂ© l’arsenal de nouvelles lois
adoptées depuis deux ans à Ankara, les Vingt-Cinq resteront trÚs
vigilants sur la réalité du processus de démocratisation. Sur le plan
Ă©conomique, le principal dĂ©fi turc sera d’obtenir le label
“d’Ă©conomie de marchĂ©”, c’est-Ă -dire un marchĂ© capable de rĂ©sister Ă 
la libre concurrence au sein de l’Union, sans intervention de l’Etat.
Enfin, la Turquie devra, comme tout Etat membre, transposer les
quelque 80 000 pages de législation européenne, un acquis
communautaire qui se décline en une trentaine de chapitres allant de
l’agriculture Ă  la coopĂ©ration policiĂšre et judiciaire, en passant
par les aides d’Etat, les normes sociales minimales, etc.

Le mot de “nĂ©gociations” est impropre, car la Turquie ne pourra
nĂ©gocier qu’une chose : la durĂ©e des pĂ©riodes de transition. Ankara
va essayer d’obtenir l’application rapide des normes qui
l’intĂ©ressent (libre circulation des personnes ou Politique agricole
commune), et retarder l’entrĂ©e en vigueur des autres (normes
sociales, interdiction des aides d’Etat, politique de concurrence,
libre prestation de services).

La Turquie sera-t-elle traitée comme les autres pays candidats ?

Aucune condition prĂ©alable n’a Ă©tĂ© ajoutĂ©e pour le dĂ©but des
pourparlers : on n’exigera pas d’Ankara une reconnaissance prĂ©alable
de la République de Chypre ou du génocide arménien de 1915. En
revanche, l’Union a annoncĂ© son intention de “tirer la leçon” des
Ă©largissements prĂ©cĂ©dents et d’ĂȘtre plus exigeante, “aprĂšs quelques
dĂ©convenues” avec certains pays d’Europe de l’Est. Elle veillera Ă 
l’application “effective” des rĂ©formes. L’Autriche voudrait insĂ©rer
dans le traitĂ© d’adhĂ©sion des “clauses de dĂ©rogation permanente” dans
plusieurs domaines. Pour Vienne, pas question d’accorder Ă  Ankara la
libre circulation des personnes. Mais la Commission refuse de créer
une “seconde classe” parmi les Etats membres, explique Olli Rehn, le
commissaire chargĂ© de l’Elargissement. Enfin, en cas de “violations
sĂ©rieuses et rĂ©pĂ©tĂ©es”, le Conseil des ministres pourra suspendre les
nĂ©gociations Ă  la majoritĂ© qualifiĂ©e. C’est la premiĂšre fois qu’une
telle clause est inscrite noir sur blanc.

La Turquie est-elle certaine d’adhĂ©rer ?

Sauf coup d’Etat militaire ou dĂ©rive islamiste Ă  Ankara, oui. Toutes
les négociations précédentes se sont achevées par une adhésion. On ne
voit pas pourquoi il en irait autrement pour la Turquie, au regard
des transformations dĂ©jĂ  accomplies par ce pays. MĂȘme si les
tractations sur les pĂ©riodes de transition s’annoncent rudes, “c’est
une tartufferie de prĂ©tendre que la Turquie n’adhĂ©rera pas avant
quinze ou vingt ans”, dit-on Ă  Bruxelles. La date d’entrĂ©e sera en
fait dictĂ©e par l’agenda budgĂ©taire europĂ©en : compte tenu de la
taille du pays et du coĂ»t de son intĂ©gration – un tiers des dĂ©penses
communautaires, à politiques inchangées -, les Vingt-Cinq ont décidé
de ne pas se mettre ce fardeau sur les Ă©paules avant 2014. L’UE doit
d’abord digĂ©rer son passage de quinze membres Ă  vingt-huit (avec la
Bulgarie et la Roumanie, suivies de la petite Croatie). Et chacun
sait que les prochaines “perspectives financiĂšres”, couvrant la
période 2006-2013, donneront lieu à un bras de fer sans merci entre
pays “riches” et “pauvres”.

Bien sĂ»r, il est aussi possible qu’in fine, la Turquie refuse de
rejoindre le club européen : les Norvégiens, par deux fois (1973 et
1994), ont rejetĂ© l’adhĂ©sion, par rĂ©fĂ©rendum, dĂ©savouant leur
gouvernement. Autre cas de figure : que l’un des Etats membres ou le
Parlement europĂ©en rejettent le traitĂ© d’adhĂ©sion. Ce risque est plus
sĂ©rieux depuis que Jacques Chirac a annoncĂ© l’organisation d’un
rĂ©fĂ©rendum en France, Ă  l’issue des nĂ©gociations, pour approuver
l’adhĂ©sion.

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Chirac s’est engagĂ© pour la Turquie mais pose de sĂ©vĂšres garde-fous

Tageblatt: Luxembourg
Samedi 18 decembre 2004

Le prĂ©sident français Jacques Chirac s’est engagĂ© personnellement Ă 
Bruxelles pour que l’Union europĂ©enne ouvre ses portes Ă  la Turquie,
mais, confronté à une opinion hostile, il a assuré que la route
menant au »mariage» sera »longue et difficile».
Au Conseil europĂ©en de Bruxelles, il a fermement appuyĂ© – au nom de
sa vision Ă  long terme de la construction europĂ©enne – l’ouverture de
nĂ©gociations d’adhĂ©sion de la Turquie Ă  l’UE, fixĂ©e au 3 octobre 2005
par les 25 chefs d’Etat et de gouvernement.

»C’Ă©tait dans l’intĂ©rĂȘt de l’Europe en gĂ©nĂ©ral et l’intĂ©rĂȘt de la
France en particulier que d’engager cette nĂ©gociation, tout en
sachant parfaitement que négociation ne veut pas dire adhésion», a
dit M. Chirac lors d’une confĂ©rence de presse Ă  l’issue du sommet.

Il a Ă  nouveau exprimĂ© sa »conviction» qu’intĂ©grer la Turquie dans un
grand ensemble Ă©tait »le meilleur moyen de conforter et d’enraciner
la stabilitĂ© et la paix», »de renforcer les droits de l’homme» et la
démocratie.

Jacques Chirac s’est dit convaincu que l’Union europĂ©enne et la
Turquie parviendront Ă  un »mariage» Ă  l’issue des nĂ©gociations
d’adhĂ©sion qui devraient durer, a-t-il relevĂ©, de dix Ă  quinze ans.

Preuve aussi de son engagement envers la Turquie, M. Chirac s’est
montré actif pour trouver un compromis sur la reconnaissance de
Chypre par Ankara, une question qui a bloqué pendant plusieurs heures
vendredi un accord final.

Cette position lui a valu dans les couloirs les félicitations de
nombre de dirigeants européens qui ont salué sa »décision trÚs
courageuse» alors que deux Français sur trois sont hostiles à
l’entrĂ©e de la Turquie, selon des sondages, et que cette opposition
est particuliĂšrement vive au sein de son propre parti, l’UMP.

Mais pour contrer cette hostilité qui risque de conforter le camp du
»non» au référendum de ratification de la Constitution européenne
prévu en 2005, Jacques Chirac a aussi assuré que »la route sera
longue et sera difficile pour que la Turquie soit en mesure de
remplir toutes les conditions pour rejoindre l’Europe».

Il a toutefois Ă  nouveau rejetĂ© l’idĂ©e d’un partenariat privilĂ©giĂ©,
défendu par la droite française, en faisant valoir que la Turquie
avait déjà fait »des efforts considérables» pour se rapprocher de
l’Europe, et qu’on ne pouvait lui fixer un autre objectif que
l’adhĂ©sion.

Le plus important pour Paris Ă©tait d’obtenir de ses partenaires que
les conclusions du sommet reprennent noir sur blanc l’hypothĂšse d’un
»lien fort» avec la Turquie, si jamais Ankara n’Ă©tait pas en mesure
d’adhĂ©rer au terme de longues annĂ©es de nĂ©gociations.

Sur ce point, la France a eu satisfaction, les 25 prÎnant un »ancrage
ferme» de la Turquie Ă  l’Union europĂ©enne »avec le lien le plus fort
possible» en cas d’Ă©chec des nĂ©gociations.

Le président français a longuement expliqué que la marche turque vers
l’adhĂ©sion serait faite sous haute surveillance et que les
nĂ©gociations pourraient ĂȘtre interrompues Ă  tout moment, par exemple
en cas de violation des droits de l’homme.

Il a annoncé que le Parlement serait informé »dans le détail et en
permanence» sur le déroulement des futures négociations et a redit
que, au bout du compte, les Français auront »le dernier mot» en étant
consultĂ© par rĂ©fĂ©rendum Ă  l’issue des nĂ©gociations.

Sur le sujet sensible en France de la reconnaissance du génocide
arménien, Jacques Chirac a également averti que les Français
pourraient dire non Ă  l’entrĂ©e de la Turquie dans l’Union europĂ©enne
si Ankara ne faisait pas »un travail de mémoire».

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Turchia: scende in piazza il popolo CHE, CON CORAGGIO, DICE NO

La Padania, Italia
domenica 19 dicembre 2004

Calderoli, Maroni e Castelli: serve un referendum per decidere il suo
ingresso nella Ue

Igor Iezzi

MILANO – La Lega torna in piazza e lo fa in un momento delicato, in
cui poche persone vorrebbero decidere il destino di milioni di
persone senza consultarle. L’ingresso della Turchia nell’Unione
Europea ù una seria minaccia contro l’identità, l’economia e la
societĂ  del vecchio continente. Roberto Calderoli, ministro per le
Riforme e la Devoluzione e coordinatore delle egreterie nazionali
della Lega Nord, non ci sta e richiama tutti al massimo sforzo e
impegno per la riuscita della manifestazione di oggi. «È da diverso
tempo che non facciamo un’iniziativa federale e siamo sul territorio
con manifestazioni provinciale. Il Segretario Federale Umberto Bossi
ci ha chiesto di scendere in piazza e noi lo faremo. Anzi, – annuncia
Calderoli – avremo modo di sentire alcune delle sue parole o dei suoi
pensieri».
«Tutti coloro che non condividono l’idea di spalancare le porte
dell’Europa alla Turchia devono venire a manifestare a Milano. Per
fortuna si sono tempi lunghi e possiamo lottare per ottenere
qualcosa. Occorre cambiare la costituzione – ha spiegato il ministro
– per permettere un referendum sulla questione». Se intervenire per
consentire l’espressione del popolo sulla Magna Charta della Ue sarà
molto complicato, secondo Calderoli sulla Turchia, invece, c’ù tutto
il tempo per poter cambiare la costituzione e permettere al popolo di
dire la sua. L’esponente del Carroccio e ministro della Cdl ha poi
sottolineato come su questo argomento da parte del governo non ci sia
nessuna linea definita. «L’ingresso della Turchia nella Ue – ha
ribadito – non fa parte del programma di governo, non se ne Ăš mai
discusso, quindi non c’ù nessuna linea da seguire. La cosa piĂč
importante Ăš ricordarsi che la sovranitĂ  spetta al popolo. Nessuno lo
vuole ascoltare? Allora lo faremo noi».
Alla manifestazione sono previste oltre 50mila persone. «Qualcuno mi
vorrebbe spiegare cosa c’entra con l’Europa la Turchia? Un Paese che
si rifiuta di riconoscere il genocidio del popolo armeno e minaccia
ritorsioni quando viene invitato a farlo, un Paese che si rifiuta di
riconoscere Cipro e di ritirare le proprie truppe, un Paese il cui
territorio, secondo gli atlanti geografici, Ăš solo per il 3% nel
nostro continente e per il rimanente 97% nel vicino Oriente, e la cui
popolazione corrisponde a circa il 15,5% di quella dei 25 stati
membri della Ue, mentre il suo Pil Ăš pari a circa il 2%, per cui
Ankara contribuirebbe con 5,6 miliardi di euro e ne riceverebbe dai
22 ai 33, un Paese per di piĂč islamico e nemico storico
dell’Occidente». «Qualcuno – ha aggiunto – mi vorrebbe spiegare cosa
c’entra con l’Europa la Turchia? E’ la Turchia che diventa Europa o
l’Europa che diventa Eurasia? L’operazione si presenta economicamente
disastrosa, con una riduzione dei contributi europei verso il nostro
Paese e alcune aree, specie del Sud, che smetterebbero di riceverli.
Non solo, la nostra piccola e media impresa, giĂ  in crisi a causa
della sleale concorrenza orientale, verrebbe distrutta dalla
concorrenza della piccola e media impresa turca, una volta entrata in
Europa». «Ritengo, pertanto – ha concluso il coordinatore delle
segreterie nazionali della Lega Nord – che l’ingresso della Turchia
in Europa non sia soltanto un delitto contro la storia, ma sia anche
un’operazione sconclusionata geograficamente, anti economica,
pericolosa per l’identità del mondo occidentale e potenzialmente un
cavallo di Troia per il terrorismo islamico».

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L’Anatolie est-elle en Europe?
par Seyhmus Dagtekin

Le MOnde
Samedi 18 décembre 2004

La Turquie dans l’Europe ou non ? Au-delĂ  de la Turquie : l’Anatolie
en Europe ou pas ? L’Anatolie fait-elle partie de l’Europe ?
Appartiennent-elles Ă  un mĂȘme espace ? Peut-on les dissocier ?
N’est-on pas constituĂ© un peu de ses mythes, n’appartient-on pas un
peu Ă  la patrie de ses mythes ? Parce que, aprĂšs tout, si les
structures politiques passent, les géographies et ceux qui les
habitent restent.

En tant que gĂ©ographie, la place de l’une par rapport Ă  l’autre est Ă 
considérer au-delà des préoccupations immédiates des uns et des
autres. Les conjonctures et ceux qui bĂątissent leur vie et leur
avenir immédiat sur les conjonctures ne doivent pas voiler les
données géographiques, historiques et mythologiques qui se déploient
sur un espace-temps plus large, plus long, qui introduisent aussi la
notion du sens dans le dĂ©roulement des affaires de l’humain. La
construction de l’Europe, qui est aussi une affaire de sens, mĂ©rite
que l’on dĂ©passe les considĂ©rations du moment et que l’on pose la
question avec plus de recul.

On peut dire que c’est la Turquie qui veut entrer dans l’Europe et
non l’Anatolie, et associer lĂ©gitimement Ă  la Turquie un ensemble de
faits qui peuvent plaider contre elle et nous conduire Ă  la garder
loin de l’Europe : une certaine dictature de l’armĂ©e et le cortĂšge
des rĂ©pressions qui l’accompagnent, une certaine Turquie
nationaliste, voire fascisante ou intégriste, la question cruciale
des minorités et la reconnaissance effective de leurs droits doivent
légitimement et nécessairement ouvrir un débat en Europe.

Pour une adhĂ©sion, l’Europe ne pourrait que maintenir ses exigences
d’une Turquie pleinement dĂ©mocratique, Ă©loignĂ©e des arrangements avec
les gĂ©nĂ©raux et de mafias de toutes sortes. Mais c’est justement le
recul de cette Turquie-lĂ  qui lui permet aujourd’hui de frapper Ă  la
porte de l’Europe avec une sĂ©rie de changements, la mettant, du moins
au niveau législatif, selon les dires du récent rapport du Conseil de
l’Europe, en conformitĂ© avec les critĂšres de Copenhague.

Et c’est cette nouvelle donne qui nous permet de parler de
l’Anatolie, au-delĂ  de la Turquie. L’appellation de cette gĂ©ographie
en tant que telle n’a que quatre-vingts ans d’histoire, depuis la
chute de l’Empire ottoman.

Posons-nous la question : qu’est-ce qui fait l’Europe, qu’est-ce qui
modĂšle l’identitĂ© de l’Europe qui nĂ©cessiterait de garder l’Anatolie
loin d’elle, qui ferait de l’Anatolie un Ă©lĂ©ment qui altĂ©rerait
l’identitĂ© europĂ©enne, une louve dans la bergerie, et justifierait
les inquiétudes, les peurs et les refus ?

DĂšs que l’on accepte la GrĂšce antique et la chrĂ©tientĂ© comme bases de
l’Europe, l’on ne peut plus considĂ©rer l’Anatolie comme le lointain,
comme l’autre de l’Europe. Un retour aux manuels d’histoire dĂ©montre
que l’Anatolie a toujours fait partie de l’Ăšre culturelle et
gĂ©ographique de l’Europe, qu’elle s’est trouvĂ©e aux fondements de
celle-ci.

Un tel regard fait ressortir l’Anatolie non plus comme la louve, mais
comme part intĂ©grante de la bergerie au mĂȘme titre que la GrĂšce
actuelle, qui, au sortir de la Grande Guerre, il y a Ă  peine plus de
quatre-vingts ans, revendiquait la partie égéenne de la Turquie. Non
parce qu’elle entendait annexer la Turquie, mais parce qu’elle
considérait ces régions comme grecques. Et à juste titre. Faut-il
rappeler qu’aux dĂ©buts de la RĂ©publique turque ces rĂ©gions Ă©taient
majoritairement peuplĂ©es de Grecs et que l’Ă©quilibre n’a changĂ© qu’au
terme de ce que la GrÚce et la Turquie ont appelé pudiquement
“Ă©change de population”. ProcĂ©dĂ© mis en place par les deux Etats pour
se dĂ©barrasser chacun de sa minoritĂ© gĂȘnante, turque pour la GrĂšce,
grecque pour la Turquie. L’ancĂȘtre de la purification ethnique, en
quelque sorte.

Un retour aux manuels d’histoire nous indique encore que la GrĂšce
antique prend naissance sur les deux rives de la mer EgĂ©e. L’Iliade a
lieu sur ces mĂȘmes rives. Les dieux et les dĂ©esses grecs soutiennent
indifféremment les héros des deux rives, aussi bien les Athéniens que
les Troyens. Peut-on imaginer Athena refusant son concours Ă  PĂąris
sous prĂ©texte qu’il vient de l’autre cĂŽtĂ© de la mer EgĂ©e ? Peut-on
effacer Hector, Priam de cette épopée ? Supprime-t-on Pergame,
EphĂšse, Milet parce qu’ils sont sur l’autre rive ? Avec de telles
amputations, on n’aura plus la GrĂšce antique mais une GrĂšce
unijambiste et, Ă  l’arrivĂ©e, une Europe mĂ©connaissable.

Ceux qui ont peur aujourd’hui d’avoir des frontiĂšres communes avec
l’Iran, l’Irak, la Syrie ne doivent pas oublier que le monde grec,
mĂȘme si cela paraĂźt lointain – mais l’histoire est-elle jamais loin ?
-, avait des frontiÚres communes avec les Perses, et que les cités de
l’Anatolie n’ont pas Ă©tĂ© cĂ©dĂ©es pour racheter une hypothĂ©tique
tranquillitĂ©. Que son rayonnement s’est Ă©panoui au prix de son
maintien sur les deux rives de la mer Egée. Et que son déclin
commence par son effacement de la rive est.

C’est Ă©galement Ă  partir de l’Anatolie, dans l’Empire romain, que la
chrétienté a pris son essor, que saint Paul a rédigé ses Epßtres.
C’est sur ces terres que, selon la lĂ©gende, Marie, mĂšre de JĂ©sus, a
achevĂ© ses jours. C’est Ă  partir de cette terre que l’enseignement de
JĂ©sus, marquĂ© encore de l’ethnicitĂ© de son dĂ©part, s’est transformĂ©
en message universel. L’avĂšnement le plus rĂ©cent sur ces terres est
l’arrivĂ©e de l’islam et des Turcs, qui, Ă  leur tour, ont Ă©tĂ© façonnĂ©s
par cette géographie.

En avançant vers l’ouest, les Turcs sont entrĂ©s dans l’islam au IXe
siĂšcle et ont fondĂ© leurs premiers embryons d’Etats dans
l’Afghanistan actuel, qui ont abouti Ă  l’empire seldjoukide au XIe
siĂšcle sur les terres de l’Iran actuel.

Ce n’est qu’Ă  la fin du XIe siĂšcle qu’ils ont conquis l’Anatolie.
L’Empire ottoman ne s’est installĂ© dans l’ouest de l’Anatolie et dans
les Balkans qu’Ă  partir du XVe siĂšcle. Les Turcs et les Ottomans sont
arrivés en tant que tribus conquérantes, donc en faible nombre, non
en masse. Tribus qui agissaient sur leurs conquĂȘtes mais qui Ă©taient
aussi influencées par elles.

L’Empire ottoman, par sa structure et son fonctionnement, n’est-il
pas dans la continuitĂ© de l’Empire byzantin, et les lĂ©gendaires
mosquĂ©es ottomanes ne sont-elles pas de petites ou grandes sƓurs de
Sainte-Sophie (Ă©glise byzantine construite au VIIIe siĂšcle) ?

Quiconque gratterait un peu la croĂ»te turque y dĂ©couvrirait, n’en
déplaise aux chauvins des deux bords, cette continuité byzantine et
grecque sous la couche turque. Cette mĂȘme continuitĂ© n’est-elle pas
visible dans l’architecture, la musique, la cuisine ?

Si le Turc d’aujourd’hui ressemble beaucoup plus Ă  un Grec, Ă  un
Balkanique qu’Ă  ses ancĂȘtres de l’Asie centrale, cela prouve-t-il
autre chose que le travail issu de la géographie anatolienne sur
l’homme turc ? Cela n’est-il pas la preuve que le Turc venu de ses
steppes aux confins de la Mongolie et de la Chine s’est d’abord
littéralement fondu dans le paysage humain anatolien si cher au poÚte
Nazim Hikmet ?

D’autre part, il ne faudrait pas se bloquer sur le mot “turc”. Il n’y
a pas que des Turcs en Turquie. MĂȘme s’il y a eu la chute des
Ottomans, la Turquie est restĂ©e fille de l’empire et n’a jamais
abrité ce peuple monolithique, fantasme des nationalistes. Elle a
hĂ©ritĂ© de la diversitĂ© de l’empire et y vit encore malgrĂ© les ravages
du siĂšcle dernier.

Les Turcs se sont fondus dans le paysage mais, à des périodes, ils
ont composé aussi avec, outre les Grecs, les Arméniens, les
Syriaques, les ChaldĂ©ens… et les Kurdes, qui aprĂšs la Grande Guerre
ont livrĂ© avec AtatĂŒrk le combat pour la RĂ©publique.

Si AtatĂŒrk a pu mettre en place la modernisation de la Turquie, que
les Turcs ont toujours appelĂ©e “europĂ©anisation”, cela ne prouve-t-il
pas que les habitants de cette terre se reconnaissaient dans cette
perspective, qu’ils la considĂ©raient comme un accomplissement de leur
trajectoire collective ? Autrement, ils ne s’y seraient pas laisser
emmener, tĂȘtus comme ils sont.

Et si, aujourd’hui, la Turquie Ă  majoritĂ© turque et musulmane, avec
un gouvernement de sensibilité musulmane, demande à (ré)intégrer
l’aire Ă  laquelle l’Anatolie a toujours appartenu, et si l’Europe
répond à cette demande, cela démontre-il autre chose que la primauté
de la géographie sur les aléas du politique ?

Il ne faudrait pas voir dans l’entrĂ©e de la Turquie en Europe
l’aboutissement des croisades, comme certains aimeraient le prĂ©senter
sur l’autre rive, ni comme une nouvelle invasion de l’Europe par les
hordes barbares, comme certains aiment Ă  l’imaginer ici.

Il s’agit de prendre ensemble un nouveau dĂ©part avec les richesses et
les potentialitĂ©s des deux rives en un monde oĂč de nouvelles
polarisations sont Ă  l’Ɠuvre. De se fondre, d’un commun accord, dans
un ensemble qui dépasse les particularités de chacun et qui, pour la
premiĂšre fois depuis l’avĂšnement des Turcs et de l’islam en Anatolie,
donne aux protagonistes des deux rives de la mer Egée et au-delà
l’occasion de sortir du rapport conflictuel qui rĂ©gissait leurs
relations.

Ce n’est pas au nom de l’altĂ©ritĂ© qu’il faudrait souhaiter l’entrĂ©e
de la Turquie dans l’Europe, mais au nom, si l’on peut dire, de la
“mĂȘmetĂ©”. L’Europe se construit d’abord sur un tronc commun, sur des
valeurs communes, avant de faire place à ses différences.

Historiquement, culturellement et gĂ©ographiquement, l’Anatolie fait
partie de ce tronc commun. Bien sĂ»r, il faut accepter l’autre, il
faut faire exister l’Europe avec la diversitĂ© des peuples qui la
composent, mais il faudrait surtout, en le parant des habits de
l’autre, ne pas rejeter le proche.

Seyhmus Dagtekin, Ă©crivain turc, vit en france depuis 1987.

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Il a assuré que le Parlement français serait consulté en permanence

Le Figaro
Samedi 18 décembre 2004

Chirac prévient la Turquie des difficultés à venir

Bruxelles : de notre envoyé spécial Luc de Barochez
[18 décembre 2004]

DĂšs la fin du Conseil europĂ©en hier Ă  Bruxelles, Jacques Chirac s’est
efforcĂ© de relativiser la dĂ©cision, prise Ă  l’unanimitĂ© par les
vingt-cinq chefs d’Etat et de gouvernement de l’Union europĂ©enne,
d’ouvrir des nĂ©gociations d’adhĂ©sion avec la Turquie. Bien que
l’objectif affichĂ© des pourparlers soit l’entrĂ©e dans l’UE, le
président de la République a indiqué que la route resterait longue et
ardue avant que la Turquie puisse remplir toutes les conditions
posées par les Vingt-Cinq.

Le «mariage» annoncĂ© par les fiançailles du 3 octobre 2005 n’est pas
garanti d’avance. «On ne peut pas Ă©crire Ă  l’avance quel sera le
résultat de ces négociations», a expliqué Jacques Chirac lors de sa
confĂ©rence de presse. Le chef de l’Etat a soulignĂ© que la Turquie
allait devoir fournir un «effort considĂ©rable» pour s’adapter aux
exigences posĂ©es par l’UE.

Maintenant que la décision de négocier a été prise, le souci du
président de la République est de désamorcer suffisamment les
apprĂ©hensions d’une majoritĂ© de Français, afin de ne pas nuire Ă  la
ratification par référendum, en 2005, du traité constitutionnel
rĂ©formant les institutions de l’Union. Jacques Chirac a refusĂ© tout
amalgame entre ces deux questions «qui n’ont aucun rapport entre
elles». Il s’est efforcĂ© de dĂ©montrer que ce sera Ă  la Turquie de
s’adapter Ă  l’Europe, et non pas l’inverse. Il a affirmĂ© que la
France aurait Ă  tout moment le loisir d’interrompre les nĂ©gociations.
Le Parlement français sera consulté «en permanence». Un verrou de
sécurité supplémentaire a été posé avec le référendum promis par le
chef de l’Etat pour ratifier le traitĂ© d’adhĂ©sion avec la Turquie une
fois qu’il aura Ă©tĂ© signĂ©, ce qui ne saurait arriver avant «dix ou
quinze ans».

«C’est une nĂ©gociation d’Etat Ă  Etat, avec d’un cĂŽtĂ© les 25 pays de
l’Union et de l’autre la Turquie. Chaque Etat membre gardera son
entiĂšre libertĂ© d’apprĂ©ciation, du dĂ©but Ă  la fin des pourparlers», a
déclaré Jacques Chirac. Il a souligné que les garde-fous réclamés par
la France avaient été retenus. «Le Conseil européen a pris toute une
série de mesures afin que ces négociations se déroulent avec sérieux,
rigueur et transparence, et surtout sous le contrĂŽle permanent de
chacun des Etats membres», a-t-il dit. Et si jamais le marchandage
Ă©chouait, une autre voie que l’adhĂ©sion reste possible. «L’UE mettra
alors en place avec la Turquie un lien suffisamment fort», a-t-il
dit.

Sur le fond, le président de la République veut toujours convaincre
les Français qu’une adhĂ©sion de la Turquie Ă  l’UE serait une bonne
chose. «Ce serait le meilleur moyen de conforter et d’enraciner la
stabilité et la paix dans notre région, de conforter et de confirmer
les droits de l’homme (…) ainsi que les rĂšgles de l’Ă©conomie de
marchĂ© et le modĂšle social qui est le nĂŽtre», a-t-il dit. L’intĂ©rĂȘt
de la France est d’appartenir Ă  «un ensemble aussi large que possible
et aussi stable Ă  l’avenir que possible».

Jacques Chirac a averti Ankara que la France serait particuliĂšrement
attentive au «travail de mémoire» qui lui est réclamé au sujet de «ce
qui est arrivé en 1915», à savoir les massacres perpétrés par
l’empire ottoman contre les ArmĂ©niens. La France, qui a accueilli de
nombreux Arméniens sur son sol, «ne peut pas négliger cet aspect des
choses». Les Français «en tiendront le plus grand compte» lors du
rĂ©fĂ©rendum de ratification du traitĂ© d’adhĂ©sion, a prĂ©venu le
président de la République.

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Droite Face Ă  une opinion publique hostile Ă  l’entrĂ©e d’Ankara, le
prĂ©sident de l’UMP n’envisage pas pour l’instant de polĂ©miquer avec
le chef de l’Etat

Le Figaro
Samedi 18 décembre 2004

Turquie : Sarkozy veut Ă©viter le conflit avec Chirac

Le prĂ©sident de l’UMP, qui rĂ©agira ce soir sur France 2 Ă  l’ouverture
des nĂ©gociations entre les Vingt-Cinq et Ankara, n’a pas l’intention
de revenir sur sa «conviction» : il faut signifier à la Turquie que
le processus aboutira au mieux à un «partenariat privilégié». Mais
Nicolas Sarkozy ne veut pas non plus entrer en conflit avec Jacques
Chirac, malgré la pression à laquelle il sera probablement soumis dÚs
ce matin par les quelque six cents nouveaux adhĂ©rents qu’il
accueillera .
Anne Fulda et Judith Waintraub
[18 décembre 2004]

Mercredi, avant mĂȘme l’intervention prĂ©sidentielle, Nicolas Sarkozy
estimait qu’il serait «irresponsable» de sa part «d’exploiter»
l’isolement de Jacques Chirac sur la question turque. Le nouveau
patron de l’UMP, en dĂ©placement en IsraĂ«l, rĂ©cusait tout devoir de
«loyauté» vis-Ă -vis de l’exĂ©cutif, mais admettait que pour prĂ©server
les chances du oui au référendum sur la Constitution européenne, il
allait devoir concilier ses «convictions» sur la candidature d’Ankara
et ses «responsabilités» de chef de parti.

Le lendemain, devant des décideurs israéliens réunis en forum à
Herzliya, il affirmait à nouveau sa préférence pour la solution du
«partenariat privilégié», que le président de la République venait de
rejeter en expliquant qu’il ne serait «évidemment pas raisonnable» de
la proposer aux Turcs aprĂšs leur avoir demandĂ© «tant d’efforts» pour
entrer dans l’Union europĂ©enne.

La contradiction n’Ă©tait pas tenable. Nicolas Sarkozy s’est donnĂ©
jusqu’Ă  aujourd’hui pour la rĂ©soudre. Selon son entourage, depuis son
retour d’IsraĂ«l, il a beaucoup «consulté» et obtenu des avis
«variĂ©s». «Certains chiraquiens sont trĂšs embarrassĂ©s, mais aucun n’a
demandé à Nicolas de revenir sur sa préférence pour le partenariat
privilĂ©gié», prĂ©cisait hier soir un proche du prĂ©sident de l’UMP, en
soupirant : «Et personne ne nous a proposé de solution pour
harmoniser les points de vue.»

Renseignement pris Ă  l’ElysĂ©e, les conseillers de Jacques Chirac
assuraient effectivement hier ne pas avoir été choqués par les
dĂ©clarations du successeur d’Alain JuppĂ© Ă  JĂ©rusalem. Tout en
soulignant, eux aussi, que «quand on est un homme politique
responsable, on ne peut pas faire d’amalgame entre le dĂ©bat sur la
Turquie et la ratification de la Constitution européenne». Pour les
proches du prĂ©sident de la RĂ©publique, «ce qu’il faut combattre avant
tout, c’est la dĂ©sinformation. Ce sont deux sujets diffĂ©rents qui
n’ont rien Ă  voir. En outre, dans le «oui, si» de Jacques Chirac Ă  la
Turquie, le «oui» est aussi important que le «si».

Mais comment faire pour que les Français, qui, comme l’a rappelĂ© le
prĂ©sident mercredi, «auront le dernier mot» sur l’entrĂ©e de la
Turquie, dans dix ans au plus tÎt, ne mélangent pas les genres ? A
l’ElysĂ©e, on est conscient du problĂšme et on reconnaĂźt que le
président devra poursuivre son travail de «pédagogie» pour
«dissocier» la question turque de celle de la Constitution. «Le débat
est légitime, explique-t-on. Il doit vivre, mais il ne faut pas
alimenter les fantasmes sur ce sujet. Et surtout, il faut que les
Français comprennent bien qu’ils n’ont pas aujourd’hui tous les
paramĂštres en main : sur la Turquie, ce qu’on aura Ă  juger dans
quinze ans n’aura rien Ă  voir.»

Pour Alain Lamassoure, l’important est d’abord «de ne pas faire de la
question turque un conflit Chirac-Sarkozy». Personnellement trÚs
hostile Ă  l’adhĂ©sion d’Ankara, le nouveau secrĂ©taire national de
l’UMP, chargĂ© de l’Europe, soulignait hier que, dans une situation oĂč
le chef de l’Etat «a contre lui la quasi-totalitĂ© de la majoritĂ© et
deux-tiers des Français», la «solution la plus sage», pour le parti,
était de «proclamer sa préférence pour une troisiÚme voie». Quitte à
lui trouver une «autre formulation que celle de partenariat
privilégié, formellement rejetée par Ankara».

Alain Lamassoure a plaidĂ© auprĂšs de Nicolas Sarkozy pour que l’UMP
«se serve Ă  plein des nouveaux pouvoirs qu’offrira la Constitution
europĂ©enne tant aux peuples qu’aux parlements nationaux quand elle
entrera en vigueur, en novembre 2006». Selon lui, le parti
majoritaire a «tout intĂ©rĂȘt Ă  faire sienne la proposition d’Edouard
Balladur, qui permettra aux parlementaires de dire leur mot sur la
question turque» (voir ci-dessous).

Hier aprĂšs-midi, le ministre de l’Industrie, Patrick Devedjian, a
commencé les opérations de déminage en se déclarant «trÚs heureux»
que «le président de la République ait pris position pour demander la
reconnaissance du gĂ©nocide armĂ©nien par la Turquie». D’origine
armĂ©nienne, il a prĂ©cisĂ© qu’il faisait ce commentaire «à titre
personnel», mais venant d’un trĂšs proche de Nicolas Sarkozy, ce
satisfecit Ă  Jacques Chirac a Ă©videmment aussi un sens politique.

A dĂ©faut d’issue de secours, les responsables de l’UMP font
finalement surtout confiance au temps pour «apaiser les esprits».
Bien que Nicolas Sarkozy ait d’ores et dĂ©jĂ  acceptĂ© des rendez-vous Ă 
hauts risques pour le dĂ©but de l’annĂ©e, en Allemagne : le 7 janvier,
il sera au congrÚs de la CSU, dont la présidente, Angela Merkel, est
farouchement opposĂ©e Ă  l’adhĂ©sion de la Turquie, et le lendemain, il
participera à une réunion de la CDU, qui y est tout aussi hostile.

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Le cas turc

Serge Truffaut
Édition du samedi 18 et du dimanche 19 dĂ©cembre 2004
Mots clés : Union européenne (UE), Turquie (pays), adhésion

L’arrimage de la Turquie Ă  l’Union europĂ©enne va nĂ©cessiter un effort
pĂ©dagogique colossal d’ici son Ă©ventuelle intĂ©gration, prĂ©vue en 2015. En effet,
si les chefs d’État des 25 ont donnĂ© satisfaction Ă  Ankara, les opinions publiques
sont sceptiques, voire rétives. En Allemagne et en France, les deux poids lourds
de l’Union, la majoritĂ© des citoyens affiche clairement son opposition Ă  l’adhĂ©sion
de ce pays qui a un pied en Europe et l’autre en Asie centrale. Pour rester dans
l’aspect gĂ©ographique du sujet, mentionnons que les adversaires Ă  l’ambition
d’Ankara martĂšlent avec constance que la portion de ce pays enclavĂ©e dans
l’Europe avoisine Ă  peine les 3 %.

Depuis les additions de l’Espagne, de la GrĂšce et du Portugal au club europĂ©en,
on sait qu’une des grandes vertus de l’Union consiste Ă  renforcer la dĂ©mocratie.
C’est lĂ -dessus, sur les obligations en matiĂšre politique et de droits de l’homme,
que les militants de l’adhĂ©sion tablent, avec un excĂšs qui frise parfois la
crédulité. Du moins si on en croit des observateurs de la stature de Robert
Badinter. Ardent défenseur des droits en question, cet ancien ministre français
de la Justice estime qu’au vu du bilan turc en la matiĂšre, un bilan rĂ©cent, on ne
devrait mĂȘme pas nĂ©gocier avec Ankara. Car s’il est vrai que le gouvernement
turc a aboli la peine de mort et voté une série de lois reconnaissant notamment
des droits Ă  la minoritĂ© kurde, l’application de celles-ci s’avĂšre timide.

Les adversaires de l’intĂ©gration articulent toujours leur argumentation autour de
deux faits : l’influence de la religion sur le gouvernement actuel, le premier
ministre Tayyp Erdogan Ă©tant le patron du Parti de la justice et du
développement (AKP), une formation islamiste, et le poids démographique de la
Turquie. Dans moins de 20 ans, ce pays sera le plus populeux de l’Union et sera
donc en mesure de composer la délégation de députés la plus importante au
Parlement de Strasbourg. À ces opinions, les pro-Turquie rĂ©torquent qu’un refus
définitif ferait le lit de ceux qui brandissent à tout propos le choc des civilisations
cher Ă  l’historien amĂ©ricain Samuel Huntington.
Pour l’heure, l’accord entre l’UE et la Turquie a Ă©tĂ© obtenu au forceps. Les 25
exigeaient qu’Ankara reconnaisse la RĂ©publique de Chypre, membre du club
depuis le printemps dernier. AprÚs des négociations ardues, Erdogan a lùché du
lest. Il reconnaßt sans reconnaßtre véritablement. Plus précisément, le chef du
gouvernement turc s’est engagĂ© Ă  signer l’accord sur l’union douaniĂšre avant
l’amorce vĂ©ritable des nĂ©gociations. De fait, il posera un premier acte de
reconnaissance dont on espĂšre qu’il sera suivi d’un geste plus franc.

De toutes les requĂȘtes formulĂ©es par les EuropĂ©ens, on doit en retenir une pour
l’instant : le gĂ©nocide armĂ©nien. Si Ankara s’obstine Ă  nier cette horreur, si
Ankara fait l’impasse lĂ -dessus, alors espĂ©rons que les principaux acteurs de
l’Union opteront pour la mise au ban du rĂ©calcitrant. Le devoir de mĂ©moire
interdit toute baisse de la garde. Pour le reste, attendons de voir.

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This compilation was contributed to by:
Katia Peltekian

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