The Armenian Genocide: Keeping The Memory Alive To Combat Denial (In

THE ARMENIAN GENOCIDE: KEEPING THE MEMORY ALIVE TO COMBAT DENIAL (IN ITALIAN)

Spondasud News, Italia
27 ott 2014

Il genocidio armeno. Tenere viva la memoria per combattere il negazionismo

27 ottobre 2014. — Scenari

“La negazione è l’ultimo atto di un genocidio, la demonizzazione è
il primo”. Sargis Ghazaryan, giovane ambasciatore della Repubblica
d’Armenia in Italia, colloca lo sterminio del popolo armeno del
1915 in una dimensione attuale e lo fa con uno sguardo rivolto alla
Turchia e all’Azerbaijan, due stati che continuano ad avere una
politica aggressiva nei confronti di Yerevan. Il primo è accusato
di negare un crimine che i libri di storia oramai certificano come
il primo genocidio dell’era moderna, di farlo con tutti i mezzi a
disposizioni, con il disprezzo tipico di non voler riconoscere di
essere stato l’artefice di un massacro che produce degli effetti
ancora oggi. Ne sono un esempio anche le chiese e i monasteri chiusi,
luoghi di culto sbarrati a chiunque, perche l’intento è di nascondere
la verita e di impedire che le persone ne possano parlare.

Sotto questo profilo, evidenzia Ghazaryan, c’è una scollatura tra
il governo di Ankara (guidato dal partito del presidente Erdogan)
e l’opinione pubblica turca che invece si mostra interessata ad
aprire un dibattito e a riconoscere un crimine che ancora oggi pesa
sulla coscienza di un popolo che vorrebbe chiudere in modo definitivo
questa pagina nera. Ma non c’è solo la negazione a rendere orribile
un crimine. C’e anche la demonizzazione, atto iniziale di ogni azione
criminale. Ne è ben consapevole l’ambasciatore armeno in Italia quando
parla dei difficili rapporti con l’Azerbaijan, guidata “da un dittatore
che si preoccupa di minacciare con le armi la popolazione armena”. Per
questa ragione non è mai troppo tardi parlare di genocidio, soprattutto
alla presenza di relazioni diplomatiche e politiche che possono dar
vita a una nuova guerra e a causare nuove morti.

Il genocidio armeno è entrato con prepotenza nell’agenda del Centro
Italo Arabo. Nel 2015 si celebrera il centenario di questo evento
e Assadakah ha deciso di dedicare gran parte dei propri sforzi al
ricordo di questa pagina nera di storia. Nel corso del II Meeting
Internazionale delle politiche del Mediterraneo si è dunque affrontato
il problema di come tener viva la fiamma della memoria di un crimine
poco conosciuto anche in Italia. L’importante è interrompere il
“circolo vizioso dei silenzi”. Assadakah ha rinnovato l’invito,
rivolto alle Nazioni Unite e al Parlamento Europeo, di dichiarare il
2015 anno della memoria e della coscienza. Un riconoscimento formale
cui non si dovrebbe sottrarre neppure l’Italia che l’anno prossimo
sara protagonista di una serie di eventi dedicati proprio al tema
del genocidio. Il coinvolgimento delle scuole e degli studenti sara
l’occasione per riportare alla luce un evento che è considerato il
paradigma di tutti i crimini contro l’umanita.

Il Centro Italo Arabo sara impegnato anche su un altro fronte:
la scrittura di un libro con le straordinarie testimonianze di tre
sopravvissuti del genocidio. Un racconto che rappresenta un ponte tra
il passato e il futuro, una cerniera che unisce la memoria individuale
con la coscienza collettiva del popolo. Un progetto, hanno rilevato
Raimondo Schiavone e Alessandro Aramu, che non potra fare a meno
di evidenziare l’attuale condizione di vita dei cristiani in Medio
Oriente e le persecuzioni che gli armeni subiscono ancora oggi in
Siria per mano dei terroristi dell’ISIS e dei miliziani di al Nusra.

Il giornalista libanese Talal Khrais ha ricordato come il villaggio
armeno di Kessab, in Siria, sia stato attaccato e svuotato dai gruppi
jihadisti con la complicita della Turchia. Centinaia di famiglie di
origine armena sono state costrette ad abbandonare le proprie case
e i luoghi di culto cristiani sono stati devastati. Dopo una dura
battaglia, l’esercito arabo siriano ha liberato il villaggio e la
popolazione è ritornata finalmente a condurre una vita normale. Come
cento anni fa, anche questa volta i turchi hanno giocato un ruolo
decisivo.

Sara per questo che l’ambasciata turca in Italia ha inviato una
comunicazione riservata al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, per
invitarlo a non prendere parte alla sessione dedicata dal genocidio.

Una richiesta non accolta dal primo cittadino del capoluogo sardo che
ha ricordato come la pacificazione tra i popoli passi necessariamente
attraverso il riconoscimento delle proprie responsabilita, soprattutto
quando hanno a che fare con i crimini contro l’umanita.

Khrais ha criticato duramente “il sultano Erdogan” accusato di
utilizzare la guerra in Siria per far fuori i suoi nemici, a partire
dal popolo armeno. Poche settimane fa i terroristi dello Stato islamico
hanno distrutto la chiesa armena dei Martiri situata nella citta
siriana di Deir Ezzor, particolarmente importante per gli armeni poiche
includeva al suo interno un monumento commemorativo del genocidio e un
mausoleo con i resti delle vittime delle atrocita turche. Si tratta
di un luogo significativo perche centinaia di migliaia di persone
sono morte a Deir Ezzor e nei deserti circostanti dopo essere stati
deportati dai turchi.

Un altro giornalista siriano, Naman Tarcha, ha ricordato la storia
della nonna armena costretta ad abbandonare la sua terra per sfuggire
ai massacri turchi. Ad Aleppo, dove oggi risiede la più importante
comunita siriana di origine armena, pote ricostruirsi una vita. Oggi
la stessa citta e in particolare il quartiere armeno (Midan) sono
assediati e presi di mira dai gruppi terroristi. La vita è sempre più
difficile, manca l’acqua, la corrente elettrica e, spesso, il cibo. I
negozi sono sventrati, i palazzi crollati, i muri crivellati di colpi
e i ribelli continuano a bersagliarlo con missili, colpi di mortaio
e con le bombole del gas. Così vivono i cristiani e gli armeni ad
Aleppo e a parlarne sono rimasti soltanto pochi giornalisti, come
Gian Micalessin instancabile reporter che rischia la propria vita
per raccontare quello che molti non vogliono vedere.

Una chiave di lettura storica è stata data da Nicola Melis, ricercatore
dell’Universita di Cagliari, che ha ricordato come la presenza armena
nell’impero ottomano in certi momenti storici fosse essenziale per
la vita stessa dell’impero, tanto che la comunita veniva considerata
la più fedele allo Stato. L’emergere del nazionalismo fu devastante
non solo per la tenuta dell’impero, in cui convivevano varie etnie e
religioni, ma anche per le sorti della comunita armena. Il nazionalismo
turco, l’ultimo in ordine di tempo, e la deriva autoritaria furono
particolarmente feroci nei confronti di questa minoranza che non
poteva avere più spazio in uno stato “islamico e turco”.

Melis ha poi ricordato che tra i negazionisti occupano un posto
di rilievo importanti esponenti dell’establishment di Israele o
intellettuali dell’ebraismo internazionale per una sorta di volonta di
“monopolizzare la sofferenza, in quanto il genocidio è solo quello
ebraico mentre gli altri vanno negati”.

Aram Ananyan, direttore di ArmenPress, l’agenzia di stampa nazionale,
ha infine ricordato la storia di Aharon Manukyan, classe 1914,
sopravvissuto al genocidio. Oggi questo centenario parla attraverso
le parole della figlia. L’orfanotrofio americano in Leninakan divenne
la sua casa. A un anno di eta, infatti, fu costretto ad abbandonare
la sua abitazione nel cortile di una chiesa a Van. La citta oppose
una strenua resistenza contro le truppe turche. Durante l’eroica
difesa di Van, il padre di Aharon morì. Dopo aver preso i figli per un
breve periodo, la madre decise di andare a Etchmiadzin per trovare un
lavoro. La storia di Aharon è la storia di tanti bambini costretti a
vivere senza i genitori, spesso in un orfanatrofio dove gli affetti
spezzati sono stati ricostruiti con fatica. Anche grazie a persone
come uno dei responsabili di quell’orfanotrofio che, dopo aver perso
il suo unico figlio, dedicò tutta la sua vita al popolo armeno.

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