From America to Armenia: A stop-over in Naples [in Italian]

Osservatorio Balcani e Caucaso, Italia
14 marzo 2013

Dall’America all’Armenia, tappa nella Napoli del dopoguerra

Hazel Antaramian Hofman
14 marzo 2013

Napoli, 1949. Un gruppo di 162 armeni-americani in viaggio da New York
verso l’Armenia fa scalo nel porto partenopeo. Donne e uomini che
presto si troveranno a vivere nell’URSS di Stalin sono sbalorditi
dalla miseria che vedono nell’Italia postbellica

Il 21 gennaio 1949, 25 anni dopo la morte di Lenin, il transatlantico
polacco Sobieski salpò da New York verso Napoli. Consegnati i
documenti americani, i rimpatriati salparono da cittadini sovietici
verso l’Armenia. La nave avrebbe seguito lo stesso percorso della
Rossija, la nave tedesca confiscata dai russi che aveva portato il
primo gruppo di armeno-americani a Batumi nell’autunno del 1947.
Nonostante gli sforzi da parte dei membri della prima carovana di
avvertire famiglia e amici di quanto li aspettava, altri 162 dei poco
più di 300 rimpatriati lasciarono l’America per l’Armenia sovietica
dopo la seconda guerra mondiale.

I 162 dovevano originariamente salpare alla fine del 1948 sulla
Pobeda, la nave che fu fondamentale per il rimpatrio degli armeni da
Francia, Libano, Egitto, Palestina e Iraq1. Tuttavia, nel settembre
1948, la nave fu danneggiata da un incendio di origine sconosciuta. In
un processo a porte chiuse, capitano, telegrafista e spedizioniere
furono riconosciuti colpevoli di negligenza grave. Due settimane dopo
l’evento, il leader sovietico Stalin riversò astiosamente la colpa
sugli americani, portando alla cancellazione `completa e immediata’2
di ulteriori rimpatri degli armeni della diaspora. Per un’eccezione
fatta meno di un mese dopo, i 162 divennero l’ultimo gruppo a
rimpatriare3.

Quando altri passeggeri della nave sbarcarono in momenti diversi nei
tre porti di scalo prima di Napoli, i 162 armeno-americani rimasero a
bordo. Nel suo memoriale4, Sonia Meghreblian ricorda una breve sosta a
Gibilterra, dove diversi venditori salirono a bordo della nave per
vendere souvenir. Lo scalo successivo fu in Francia, a Cannes, dove ad
un passeggero fu permesso di andare a terra su una piccola barca. Dopo
un paio d’ore a Cannes, la nave si diresse verso Genova, dove di nuovo
i i rimpatriati rimasero a bordo, mentre gli altri passeggeri
lasciavano la nave. L’ultima tappa fu a Napoli.

Una sosta prolungata a Napoli
Fu al porto di Napoli che i rimpatriati intuirono che la parte
avventurosa del viaggio era finita e iniziarono a sentire le prime
inquietudini rispetto alla loro destinazione finale. In gran parte
ignari degli effetti devastanti della seconda guerra mondiale in
Europa, si sarebbero presto trovati di fronte a situazioni di estrema
povertà. L’arrivo a Napoli mise in risalto il contrasto tra la
prospera realtà vissuta in America e la distruzione del secondo
dopoguerra in Europa. Mentre gli altri passeggeri sbarcavano, gli
armeno-americani rimasero sulla Sobieski, in attesa di maggiori
informazioni sul cambio di nave.

Il piano approssimativo era portare i 162 rimpatriati a Napoli a bordo
della Sobieski, per poi trasferirli sull’Ardeal, una nave da carico
rumena. Il trasferimento dei passeggeri non andò però come previsto,
perché l’Ardeal non era entrata nel porto di Napoli come pianificato.
Il motivo non è chiaro, ma a quanto pare quando sovietici e romeni
vennero a conoscenza della presenza della Marina degli Stati Uniti nel
porto di Napoli, la nave rimase in mare per evitare un incidente
internazionale. Una vicenda di imbarazzo politico lasciò i
rimpatrianti senza una soluzione logistica per proseguire il loro
viaggio.

L’assenza di documenti ufficiali per mettere piede sul suolo italiano
rendeva la situazione molto precaria, e ulteriormente complicata dalla
presenza della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti nel porto
di Napoli. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia si
trovava in uno stato di devastazione economica. Il Trattato di Pace
con l’Italia nel 1947 aveva compromesso la posizione internazionale
del paese: le clausole di disarmo e le riparazioni imposte verso vari
paesi, tra cui l’Unione Sovietica, avevano creato scompiglio economico
e politico5. Secondo Crosby Phillian, quindicenne di New York diretto
in Armenia con la famiglia, tra le navi da guerra nel porto di Napoli
c’era la portaerei statunitense USS Philippine Sea e alla flotta era
stato concesso il congedo a terra: moltissimi marinai facevano la
spola fra nave e terraferma.6

Dopo alcuni giorni, i sovietici decisero di permettere ai rimpatriati
di scendere dalla nave nell’attesa di sviluppi. Prima di salire sui
bus per l’Hotel Grilli, ai rimpatriati fu concesso una passeggiata
militarizzata in attesa del trasferimento. Camminarono in fila
indiana, scortati da un funzionario sovietico e da uno italiano.7
A Napoli i rimpatriati assisterono a situazioni di estrema povertà.
Meghreblian, allora diciannovenne, prese atto della devastazione
causata dalla guerra. Videro gli abitanti del luogo vivere in edifici
sventrati dalle bombe.8 Phillian assistette ad un emblematico episodio
sul molo:

Durante uno scarico si ruppe un sacco: era zucchero! Sciami di persone
uscirono da non so dove, raccoglievano lo zucchero a mani nude e lo
mettevano in borse. Una cosa mai vista, impressionante. Chi potrebbe
raccogliere zucchero versato a mani nude negli Stati Uniti? Non era
nemmeno concepibile.9

All’insaputa dei rimpatriati, questo episodio prefigurava la
situazione che li attendeva nell’Armenia sovietica. Deran Tashjian, un
altro adolescente partito da Watertown, Massachusetts, ricorda che
dopo aver conosciuto la povertà a Napoli alcuni cominciarono a nutrire
dubbi sulla propria futura situazione.10

I 162 rimasero in hotel a Napoli per quasi una settimana. Phillian
racconta che ad ogni ingresso c’era “un soldato armato di guardia”.
Gli “ospiti prigionieri” ingannavano il tempo leggendo, parlando e
giocando a poker. Presso l’hotel c’era un barbiere, quindi alcuni
uomini colsero l’occasione per farsi tagliare i capelli. Phillian notò
come l’uomo, con solo un paio di forbici e un pettine, lavorava “come
un artista…per soli 50 centesimi”, un affare per gli americani.

Quando giunse voce che la Sesta Flotta aveva lasciato Napoli, la
Ardeal si spinse in porto per recuperare i rimpatriati che, di nuovo
scortati militarmente, furono trasportati dall’hotel al porto e
contati, per assicurarsi che tutti coloro inizialmente sbarcati dalla
Sobieski fossero saliti sull’Ardeal. Le due navi erano diverse come il
giorno e la notte: i rimpatriati, giunti a Napoli su una confortevole
nave passeggeri, lasciarono l’Italia su una “nave da carico tozza e
brutta, senza alloggi per tutti quelli che sarebbero saliti a
bordo.”11 Con le poche cabine assegnate a donne, bambini e anziani, il
ponte veniva convertito in un’ampia zona notte per gli uomini. Dopo
aver lasciato Napoli, la Ardeal oltrepassò la Sicilia, costeggiò le
isole greche e si diresse verso la Romania. Mentre attraversavano i
Dardanelli per entrare nel Mar Nero verso Batumi, i rimpatriati si
trovarono di fronte dei turchi sulle barche a remi. Volarono insulti
fra gli armeno-americani e i turchi, che fecero segno di “di tagliare
la gola.”12 A posteriori, Phillian non sa se questo gesto avesse più a
che fare con l’animosità tra i due popoli o con la situazione che li
attendeva nell’Armenia sovietica.

Attraverso il Mar Nero
Infine l’Ardeal attraccò a Costanza, sulla costa romena del Mar Nero,
fiorente porto commerciale tra l’Impero bizantino e i porti italiani
nel corso dei secoli X e XI. Diversi funzionari salirono a bordo, ma
solo ai marinai romeni fu permesso di scendere a terra. Phillian
racconta un episodio interessante avvenuto fra un armeno-americano e
un marinaio romeno-armeno. Il marinaio parlava armeno e fu avvicinato
da uno dei rimpatriati con la richiesta di consegnare una lettera
indirizzata negli Stati Uniti. Poiché la Romania era sotto il giogo
politico dell’Unione Sovietica, il marinaio temeva le perquisizioni di
routine dei funzionari comunisti e, cautamente, rifiutò di consegnare
la lettera13. Questa fu probabilmente una mossa saggia anche per la
sicurezza dei rimpatriati: non era raro per gli armeno-americani
essere sospettati di spionaggio, una preoccupazione reale per molti
una volta giunti in terra sovietica. Molti furono interrogati e
torturati dal KGB.

Dalla Romania, la nave giunse alla sua destinazione finale a Batumi,
un porto sovietico in Georgia, dove ad attendere i rimpatriati vi era
una delegazione e i famigliari tornati nel 1947, tra molte fanfare e
discorsi propagandistici. I 162 rimpatriati furono presto condotti in
un hangar, dove li aspettava la fase finale del loro sfortunato
viaggio verso l’Armenia sovietica.

1 The Armenian General Benevolent Union, One Hundred Years of History,
Vol. II, 1941-2006, AGBU, Central Board of Directors, Paris, 302.

2 Armenian General Benevolent Union, `Realizing a Dream: Then and
Now,’ Vol. 20, No. 2, November 2010, 6.

3 AGBU, `Realizing a Dream,’ 6.

4 Sonia Meghreblian, An Armenian Odyssey, Gomitas Institute, 2012.

5 John B. Hattendorf, Naval Policy and Strategy in the Mediterranean
Sea: Past, Present and Future, Routledge Publisher, 2000, 198. La
pressione prodotta dal trattato di pace si attenuò man mano che
l’Occidente riportava l’Italia nella propria sfera. Si veda Roy Palmer
Domenico, Remaking Italy in the Twentieth Century, Rowman &
Littlefield Publishers, Inc., New York, 2002, 108.

6 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

7 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

8 Meghreblian, An Armenian Odyssey, 2012, 76.

9 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

10 Tashjian, intervista con l’autrice, 8 luglio 2012.

11 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

12 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

13 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Armenia/Dall-America-all-Armenia-tappa-nella-Napoli-del-dopoguerra-131064