I libri salvano il popolo Armeno dalla violenza e dall’oblio

Reggio TV , Italia
Domenica 03 giugno 2012

I libri salvano il popolo Armeno dalla violenza e dall’oblio

Il ruolo della memoria per testimoniare la veritÃ. Conversazione con
Antonia Arslan

I racconti dello zio, il fratello del nonno decapitato, si imprimono
nella mente ed ad un tratto si impongono affinchè siano a loro volta
raccontati, dietro la spinta di una buona e saggia amica. E’ accaduto
così che un giorno di maggio, Antonia Arslan, donna di origini armene,
docente di Letteratura Moderna presso l’università di Padova, su
impulso di ricordi dolorosi e desiderosi di emergere da un passato a
lungo rinnegato dal mondo intero, diviene scrittrice o meglio una
cantastorie, innamorata delle sue storie. Così prende forma
quell’universo parallelo interiore e nascosto, quel nucleo di fuoco
fatto di immagini concatenate e di emozioni anche violente che ad un
tratto della vita si impongono e diventano anima di un romanzo tenero
e struggente. Ecco che la Letteratura intuisce, arrivando prima della
Storia al cuore delle vicende e degli uomini e delle donne che ne sono
i protagonisti.

E’ la letteratura a raccontare i dettagli di una storia, rivelandosi
capace di ricostruire un mondo, di svelarne gli accadimenti. Così è
stato anche per il genocidio degli Armeni raccontato nelle pagine del
primo romanzo di Antonia Arslan, scrittrice e saggista di origini
armene, `La masseria delle allodole’ ed in quelle del suo ultimo
volume `Il libro di Mush’. A queste pagine, colei che non si definisce
storica ma innamorata della sua storia, affida il dramma umano di un
popolo perseguitato e decimato dai Turchi durante la Prima Guerra
Mondiale. Un popolo che senza la letteratura, senza la penna di
Antonia Arslan, sarebbe stato dimenticato.

Vicini al centenario (nel 2015) del massacro consumatosi durante la
Prima Guerra Mondiale nel 1915, è ancora importante parlare di quella
pagina di Storia rispetto alla quale la Turchia, aspirante nazione
dell’Unione Europea, ha ancora un atteggiamento negazionista. Nel 2009
Ankara tentò invano di incriminare per insulto esplicito alla nazione,
gli ideatori della petizione, cui aderirono migliaia di persone sulla
scia dei primi duecento intellettuali turchi, con cui si esercitavano
pressioni sul governo turco affinchè chiedesse ufficialmente scusa al
popolo Armeno per la persecuzione perpetrata. Il pubblico ministero di
Ankara dovette dichiarare la loro non perseguibilitÃ.

La Turchia, ad oggi, si pone ancora con estrema intransigenza sulla
questione, come accaduto di recente nel caso della legge della Francia
di Sarkozy (in Francia vivono 500 ` 600 mila Armeni, la comunità più
corposa dell’Europa Occidentale), poi dichiarata incostituzionale per
violata libertà di espressione, che istituiva il reato per coloro che
avessero negato il genocidio Armeno. La legge, osteggiata fortemente
da Ankara che aveva annunciato ogni forma di ritorsione, aveva fatto
esplodere un caso diplomatico. Lo scorso febbraio con l’intervento
della Corte Costituzionale, la Turchia, per voce del ministro degli
esteri turco Ahmet Davutoglu, ha esultato ma Sarkozy, battuto alle
scorse presidenziali da Hollande, aveva annunciato un nuovo testo di
legge.

Questo atteggiamento ancora delegittimante dell’identità del popolo
Armeno e della sua storia rende ancora più necessaria la diffusione di
documenti e testimonianze su quello che avvenne, sulla scia di quanto
coraggiosamente fatto nel primo Dopoguerra da colui che nel 1968 fu
chiamato `Giusto’ dall’Ordine di San Gregorio di Yerevan.

La prima, ed ancora oggi dirompente testimonianza della deportazione
ed al massacro degli Armeni si deve infatti all’intellettuale tedesco,
infermiere volontario nella Prima guerra Mondiale, Armin Wegner
(Wuppertal, Westfalia 1886, Roma 1978), al suo reportage fotografico
di cui scrisse nelle sue lettere e che poi audacemente consegnò al
mondo che ignorava, e che avrebbe continuato ad ignorare ancora troppo
a lungo, le crudeltà che si consumavano in Anatolia. Avrebbe
continuato a denunciare quello che aveva visto in tutte le sedi e in
ogni momento, fino alla morte che lo colse all’età di 92 anni a Roma,
dopo una vita segnata da persecuzioni ma libera nel pensiero.
E’celebre la lettera scritta al furher e la «Lettera aperta al
Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson» del febbraio del 1919,
con cui perorò la causa dell’Indipendenza Armena come della libertÃ
dei popolo perseguitati.

Armin Wegner venne arrestato dalla Germania su ordine del comando
turco, torturato ed esiliato per quegli scatti di verità scomode e per
questo necessarie. Sarebbe giunto in Italia nel 1936, con permanenze a
Vietri, Potenza, Positano, Stromboli e poi, dal 1956, a Roma da dove
le sue ceneri, nel 1978, sono state trasportate nella capitale
dell’Armenia, a Yerevan, e tumulate con una cerimonia nel Muro della
Memoria, monumento del genocidio Armeno.

1 milione e mezzo è il numero massimo delle vittime ipotizzato. Non
c’è unitarietà sulle cifre di un massacro che la Turchia si ostina a
classificare come guerra civile e che, al di là dei numeri, è stato
drammatico e colpevolmente ignorato.

Nessuna riconciliazione è stata neppure solo pensata mentre il popolo
Armeno (50- 70 mila, con comunità in molti paesi del mondo, 2500 in
Italia), il cui genocidio fu ammesso a distanza di anni, oggi porta
ancora la ferita inguaribile di oltre un milione di vittime, sul
fronte armato come nelle campagne inermi, tra i notabili, gli
intellettuali, i contadini, uomini, donne, bambini, anziani,
indiscriminatamente.

Il popolo Armeno sopravvissuto, lo ricorda, lo racconta, lo tramanda e
lo chiama `medz yeghern’, il grande male. Un’azione repressiva
finalizzata non solo ad estinguere un popolo ma anche a cancellarne la
civiltà millenaria, la cultura dei luoghi, dei libri, della memoria
(husher). Il popolo è stato decimato ma la sua cultura no.

La produzione letteraria di Antonia Arslan sul dramma del suo popolo,
che consta di tre volumi, ne è una struggente e dolce testimonianza. A
`La masseria delle allodole’ (Rizzoli, 2004 ` premio Stresa per la
Narrativa nel 2004), nelle cui pagine scorre il sangue delle vittime
innocenti, segue `La strada di Smirne’ (Scala Italiani, 2009) con il
dramma intriso di speranza di chi cerca nuovi luoghi per non
dimenticare una patria rubata con la violenza di quelle fiamme del
settembre 1922, quando il popolo Armeno era vicino a scomparire.

`’Tale sradicamento totale spostò definitivamente il centro
dell’Armenia ad est del fiume Arasse, nel Caucaso. Lì fu costituita la
Repubblica indipendente d’Armenia nel 1918 che resse fino al 1920,
quando fu annessa all’Unione Sovietica. Il trattato di Sèvres del 10
Agosto 1920 aveva riconosciuto il diritto all’indipendenza del popolo
armeno in un’ampia area dell’Armenia storica, ma era stata una breve
illusione: le azioni militari turche, culminate con l’incendio di
Smirne del Settembre del 1922, provocarono la definitiva scomparsa
degli armeni dall’Anatolia, `ratificata’ dal trattato di Losanna del
24 Luglio 1923 tra le grandi potenze e la Turchia guidata da
MustafÃKemal, ove alla questione armena non si accennò neppure” (da
`Il piano di sterminio’ – ).

Infine `Il libro di Mush’ (Skira 2012), un libro da leggere per non
dimenticare. Dal sangue versato delle vittime alle pagine da salvare.
Ne `Il libro di Mush’ si narra la storia di un popolo da salvare,
attraverso la cultura da sottrarre alle macerie ed alla distruzione
seminata in occasione della strage nella valle di Mush, quando la
popolazione Armena venne annientata dai Turchi della terza armata in
ritirata dalle sconfitte in Caucaso. Dunque una questione di
sopravvivenza da quelle rovine a cui due donne strapparono
coraggiosamente un prezioso libro, la testimonianza di quella cultura
che nessuna arma avrebbe potuto distruggere come si fa con un
monastero, con una chiesa, con una casa. Così si narra che in pochi
trasportarono l’importante, antichissimo manoscritto miniato nel 1202
(alcune pagine pare siano custodite anche in Italia presso i Padri
Mechitaristi di Venezia), alto circa un metro, largo mezzo, pesante 27
chili e 500 grammi. Il tesoro del monastero di SurpArakelots, il
famoso MshoCharantir, il “Libro dei sermoni” di Mush, cui erano
attribuiti poteri taumaturgici.

“Dei mille villaggi armeni della piana di Mush resterà solo il nome,
nella memoria dei pochi superstiti in esilio, nelle parole di qualche
nostalgica canzone.

Soltanto in alto, sulle montagne del tauro, vicino a Sassun, esistono
ancora i resti di qualche villaggio abbandonato. LÃ ci sono solo
vento, pietre ed erba: non più tetti o porte o finestre o tracce dei
focolari, solo le occhiaie vuote, i buchi neri delle antiche aperture,
da dove si affacciano i fantasmi e una serpe acciambellata riposa al
sole”.

Un `occasione per Antonia Arslan per raccontare questa storia che è
emblema di un popolo che ha santificato l’inventore dell’alfabeto e
che, profeticamente, da autentico popolo del libro intuì, già prima
del suo sterminio, che solo la cultura ne avrebbe salvato la memoria,
ne avrebbe impedito l’oblio. Oggi quel volume si trova esposto al
Matenadaran nel Museo dei manoscritti antichi di Yerevan, capitale
armena che quest’anno l’Unesco ha proclamato capitale mondiale del
libro. C’è una grande emozione nelle parole di Antonia Arslan mentre
lo racconta.

Oggi l’Armenia è una repubblica indipendente. Lo è dal 1991. Il suo
percorso di liberazione da un passato negato è però ancora lungo.
Ancora sangue viene versato, arresti e censure arbitrarie di siti e
parole (7000 siti e 138 parole nel 2011) vengono utilizzati dal
governo come mezzi di controllo delle coscienze e dell’ordine
pubblico. Un paese molto poco sicuro per i giornalisti. Nel 2007 il
giornalista scrittore turco, di origini armene, Hrant Dink, è stato
assassinato nel quartiere di Osmanbey a Istanbul, davanti ai locali
del suo giornale bilingue Agos, con tre colpi di pistola alla gola. Il
processo,conclusosi nel 2011, non ha smesso di far discutere. Nel 2011
altri due giornalisti sono stati arrestati: Ahmet Å?ık e Nedim Å?ener,
delle testate Radikal e Milliyet. Il primo stava per pubblicare un
lavoro illuminante sul `FethullahGülen’ (L’esercito dell’Imam), ed il
secondo aveva scritto un libro in cui raccontava delle ambiguità circa
gli apparati delle forze dell’ordine e del coinvolgimento loro, come
di altri membri dell’esercito e di alti funzionari dell’esercito,
proprio nell’omicidio di Hrant Dink.

La memoria deve dunque svolgere la sua missione di ristabilire la
verità dei fatti e avrÃ, per il popolo Armeno, come data di
riferimento il 24 aprile.

`’Il genocidio armeno ha come data d’inizio simbolica il 24 aprile
1915, in quanto l’avvio del progetto predeterminato ebbe inizio
proprio nella notte di quel giorno, nella città di Costantinopoli,
attuale Istanbul, con il rastrellamento sistematico degli
intellettuali e dell’élite armena della cittÃ. In un solo giorno
scomparvero dalla comunità armena di Costantinopoli circa 270 persone
appartenenti alla classe dirigente della loro nazione; l’operazione
proseguì i giorni seguenti e, in un mese, circa 600 intellettuali
armeni, fra cui giornalisti, scrittori, poeti, medici, avvocati e
perfino deputati al Parlamento, vennero deportati all’interno
dell’Anatolia e massacrati per strada. La nazione intera si ritrovò
così `decapitata’ (da`Il piano dello sterminio, ).

In questo giorno si concentrano impegni e iniziative di quanti,
invece, ogni giorno dell’anno rappresenteranno un imprescindibile e
necessario presidio di lotta all’oblio e all’impunitÃ, come la
letteratura ed i libri.

Anna Foti

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