Yerevan, Capitale Del Libro E Della Memoria

YEREVAN, CAPITALE DEL LIBRO E DELLA MEMORIA

Paperblog

28 gennaio 2012
Italia

Ogni anno l’Unesco assegna il titolo di Capitale del Libro ad una
citta, con lo scopo di utilizzare i programmi culturali da questa
promossi, per la diffusione del libro e della lettura. Il 2012 è
l’anno di Yerevan, capitale dell’Armenia, proclamata anche capitale
del libro per tutto l’anno in corso. Yerevan sembrerebbe gemellata
con Venezia, dato che quest’ultima lo scorso dicembre, ha allestito
una serie di mostre nelle principali aule museali della citta, per il
cinquecentenario del “primo libro stampato in lingua armena”. Sembra
quasi un atto di fede credere che d’un colpo l’ormai semi-cristiano
occidente possa ricordarsi di un popolo sofferente e dimenticato,
come quello armeno, che ha subito una delle persecuzioni più grandi
del Novecento. La venerazione culturale che nasce in vista di questi
eventi, spesso si scontra con un dato di fatto e con una strana
e alquanto bizzarra presa di coscienza, che fa insorgere in molti
intelletti, un doloso e colpevole senso di imbarazzo e di rimozione,
verso il naturale e oggettivo sacro dovere del ricordo, per il Medz
Yeghern, o più semplicemente, “grande genocidio armeno” per opera e
per mano dei “giovani turchi” nel 1915 e precedentemente gia in un
primo atto di sterminio, nel 1894-96.

Gia, proprio così, il genocidio armeno è fonte di imbarazzo per
molte elite di pensatori europei. Dimenticato, scalzato, abbandonato
al ricordo, solo degli attivisti e dei principali esponenti della
folta comunita armena internazionale, presente in numerosi stati
occidentali. Ma il Medz Yeghern (grande male in lingua armena) c’è
stato davvero e fa comunque parlare di se. Se la Shoah è stata il
male grande del Novecento, il “grande male degli armeni” verificatosi
durantela Prima guerra mondiale non è stato un crimine meno grave. Non
è un ritornello che vuol fare un certo illusionismo storico, volto a
patteggiare per gli armeni, piuttosto che per il popolo ebraico. Non
ci sono ne primi nè secondi, nè una classifica di merito, per le
atrocita o per l’umana ferocia.

Ma va detto, comunque, che risulta doverosa una liturgia del ricordo
universale, quale espressione sentimentale umana che varca i confini
dell’intelligentismo e del tollerantismo, così tanto di moda nel
nostro presente, che faccia in modo, che si possa parlare della Shoah
senza permettere un ulteriore male maggiore, quale il non parlare
del genocidio armeno.

La Shoah c’è stata, così come c’è stato il Medz Yeghern, così come v’è
stato il grande genocidio dei circassi o adighi (come preferiscono
essere chiamati) nel 1864, perpetrato nell’impero zarista di fine
ottocento, per mano dei russi. E se finiva un genocidio, gia ne
cominciava un altro: l’uno figlio e padre dell’altro, tanto da creare
una concatenazione di umano odio, perpetratosi in danno dell’umana
famiglia, per generazioni e generazioni. Ed il Medz Yeghern è stato un
genocidio, con buona pace per tutti quei gruppi di pensatori attuali,
siano essi turchi, siano essi europei di varia estrazione culturale,
che negando l’azione criminale di quei movimenti patriottici turchi
di inizio Novecento, responsabili dello sterminio pianificato ed
orrendo di quasi un milione e mezzo di armeni, vorrebbero gettare in
confusione e nel dimenticatoio, un fatto storico realmente accaduto,
del quale il popolo turco ( così come qualsiasi altro popolo gravato
da proprie responsabilita di governo) si trascina con se le proprie
colpe! Tutto ciò, “normalmente” dovrebbe essere annoverato, ancor
prima di raccontare gli entusiasmanti proclami celebrativi di Ataturk,
nella costituzione di una nazione moderna e tollerante.

Un genocidio attuato in danno delle popolazioni armene della Turchia,
che ad inizio secolo costituivano la principale minoranza nazionale
presente nell’Anatolia orientale, entro i confini del decadente ed
esausto Impero Ottomano, che volgeva alla fine della sua gloriosa
epoca di conquista e di “turanizzazione” dei popoli ad esso soggetti,
non può essere volutamente dimenticato e volontariamente ignorato da
governanti, da statisti, da storici e persino da idealisti.

Eppure il popolo armeno, è sopravvissuto al grande genocidio, ed ha
anche vinto la sua scommessa con la morte e con la barbaria perpetrata
da popoli culturalmente assai inferiori ad esso, e assai in debito
con una cultura, quale quella armena, che decanta innumerevoli pregi
nel campo delle arti e delle conoscenze umane . Ebbene ribadire,
che gli armeni o hayery sono il più antico popolo cristiano della
terra. Si convertirono infatti nel 301 d.C., prima ancora dell’editto
costantiniano, costituendo così il primo popolo cristiano con una
fede ufficialmente proclamata quale religione dello Stato.

La fede armena rappresenta una delle cinque costole del cristianesimo.

Ad essa fa capo la Chiesa Apostolica Armena, una delle chiese
orientali separate dal cattolicesimo romano e dalla ortodossia di
Costantinopoli, ed anche dalla slava cristianita di Mosca e dalla
ulteriore e distinta cristianita copta di Alessandria d’Egitto e di
Addis Abeba e quindi costituente uno dei rivoli del più ampio alveo
dell’insieme di chiese cristiane.

La chiesa apostolica armena, si considera come una chiesa cristiana
anti-calcedoniana, poiche non riconosce i dogmi sanciti nel concilio
di Calcedonia del 451 d.C., con il quale vennero canonizzati i
concetti base della teologia cristiana in merito alle questioni
cristologiche sulla natura trinitaria di Dio. Essa si colloca così,
nel gruppo delle chiese antiche orientali, distaccatesi ancor prima
del Grande Scisma del 1054, che definì per sempre la frattura tra
cattolicesimo ed ortodossia all’interno del mondo cristiano. Frattura
mai più ripristinatasi.

La divina liturgia della chiesa armena, è ricca di grandi significati
antropologici e culturali, relativi a forti legami con un passato
eterodosso, nel quale la divisione teologica, avvenuta in seno alla
prima universalita della chiesa cristiana, ha riguardato oltre che
grandi questioni dogmatico-filosofiche, anche ed in buona parte,
il mantenimento di una forte e pregnante componente culturale
dell’Armenia – nazione gia 150 anni prima del sopracitato Concilio
di Calcedonia. Dal pane azzimo al vino non temperato (non mescolato)
la ritualita della liturgica armena, si arricchisce di quegli elementi
peculiari del piccolo Caucaso, che hanno forgiato il modo di essere
devotamente cristiani-gregoriani col modo di essere e di appartenere
alla comunita nazionale degli “hayk”, cioè del sentirsi pianamente
armeni. Non è difficile immaginare, come possa essere stato tortuoso
e difficile, il percorso storico della nazione armena, circondata
spesso da un mare di ostilita, a causa dell’influenza nefasta di
tanti popoli confinanti. Popoli nomadi e guerrieri, adagiati alle
vecchie vestigia dell’Impero bizantino e tendenti al paradigma felice
dell’oriente persiano, unico punto culturale vicino e compatibile
con essi, ma che è apparso quasi sempre, come una meta inarrivabile
ed un suggestivo miraggio da mille e una notte!

Gli armeni parlano una lingua appartenente alla grande famiglia delle
lingue indo-europee, molto simile all’iranico, ma da esso distinta
non solo per specificita ma anche per la presenza di un alfabeto
totalmente diverso dal persiano. Da un certo punto linguistico,
sono imparentati anche con la lingua greca, e condividono entrambe,
alcune medesime strutture morfologiche, presenti all’antico frigio
parlato un tempo nell’Anatolia e adesso estinto.

Ma più che da un punto di vista linguistico, armeni e greci sembrano
accomunati maggiormente ad una ellenistica forma di condivisione
di ortodossia della fede cristiana. Non è altrettanto difficile
immaginare, come nel secolo scorso, questo popolo del Piccolo Caucaso
sia stato oggetto di conquista, sia dai tanto odiati e brutali invasori
turchi, sia dell’Impero Zarista, che in funzione difensiva spesso
si è valso della qualifica di difensore della cristianita caucasica,
prendendo parte a sanguinose guerre, circostanziate da mille interessi,
giustificati anche da mutevoli ragioni di natura politico-economica.

Dopo essere stati soggiogati per secoli, da molte orde di migrazioni
di popoli nomadi, da sultanati turco-mongoli poi ottomani, dopo essere
stati inglobati da russi per poi diventare sovietici, dopo essere stati
attratti da potenze ad essi ostili, gli armeni sono sopravvissuti,
legati allo spirito forte della loro indole fiera e alla propria
specificita culturale.

Il grande gioco di Rudyard Kipling, nel corso dei decenni, ha
dimostrato sotto vari aspetti, che l’interesse per l’oro nero di
Baku e di tutto il petrolio dell’Azerbaijan, era divenuto fonte
di disperazione per tanti popoli che pur essendo accomunati dalla
lingua e da un cultura compatibile, si ritrovavano nonostante tutto,
accomunati anche dall’avidita e dalla bramosia di ottenere terre
ricche di “nafta”, tanto da piegarsi a logiche strane e contorti
giochi di potere. Molti popoli ufficialmente amici e accomunati da
una bizzarra fratellanza religiosa, cominciarono a detestarsi sino
all’inversosimile.

From: A. Papazian

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