Georgia: Gli Interessi In Gioco

GEORGIA: GLI INTERESSI IN GIOCO
Andrea Rossini

PeaceLink
12 agosto 2008
Italy

L’attacco georgiano, il velleitarismo occidentale, la furibonda
reazione russa. Intervista a Paolo Calzini, studioso di relazioni
internazionali e esperto dell’area post-sovietica

Fonte: Osservatorio Caucaso – 12 agosto
2008 Era prevedibile quanto sta avvenendo in questi giorni?

Sì, ma non con queste dimensioni. La reazione russa è stata furibonda,
e non si è fermata di fronte a quello che ormai sembra essere il
completo ritiro delle forze georgiane dall’Ossezia del Sud.

È possibile un’ulteriore estensione del conflitto?

Nonostante quanto sta avvenendo in queste ore, non credo la Russia
abbia alcun interesse a invadere la Georgia.

Quali sono gli interessi di Mosca?

Riaffermare e far valere la propria presenza nella regione, e la sua
posizione di garante sulle due repubbliche separatiste, l’Abkhazia
e l’Ossezia del Sud.

Quali iniziative possono prendere Europa e Stati Uniti?

L’Occidente, a parte iniziative diplomatiche, non può fare nulla. La
Russia ha una posizione preponderante, il rapporto di forze è
chiaramente a favore russo, gli Stati Uniti non sono andati al di la
di qualche dichiarazione.

Di chi sono le responsabilita della crisi in corso?

Le responsabilita sono reciproche. C’è una situazione di fondo
irrisolta, quella dei numerosi conflitti rimasti congelati nello spazio
post-sovietico. Nella fattispecie il diritto internazionale da ragione
alla Georgia, Abkhazia e Ossezia del Sud fanno parte della repubblica
georgiana in base a quella che era la divisione amministrativa nell’ex
Unione Sovietica. Le leadership separatiste hanno approfittato della
situazione creatasi dopo il 1991, e hanno goduto dell’appoggio russo
mantenendo una situazione di indipendenza de facto. L’avvio di questa
ultima crisi è tuttavia dovuto all’attacco georgiano di giovedì notte.

La Russia potrebbe approfittare dello scenario di guerra per annettere
le repubbliche secessioniste?

Non credo. La Russia ha sempre preferito una situazione di stallo
che permettesse di mantenere una posizione di influenza e ricatto nei
confronti della Georgia, alleato degli Stati Uniti e snodo fondamentale
per il passaggio dei flussi energetici tra Mar Caspio e Turchia.

Perche dunque una reazione così dura?

I russi approfittano di questa situazione per rendere chiaro che
colpi di forza e iniziative militari non possono spostare gli
equilibri esistenti ne risolvere nulla. Non si tratta solo della
questione osseta. Ci sono naturalmente anche l’Abkhazia, oltre alla
Transnistria e al Nagorno Karabakh. Questa guerra ha permesso ai russi
di dare una dimostrazione di forza, ribadire che sono la grande potenza
regionale senza il cui accordo non possono essere alterati i confini
o in generale gli equilibri attuali. L’esito di questa crisi sembra
essere un rafforzamento delle posizioni e dell’influenza militare
russa nella regione a fronte dell’impotenza occidentale.

E gli Stati Uniti?

La politica occidentale appare velleitaria. Da un lato si mantiene una
stretta alleanza con la Georgia, esperti militari americani preparano
i reparti di sicurezza georgiani e le forze di Tbilisi partecipano
alla guerra in Iraq. D’altro canto tuttavia la situazione è bloccata
dai rapporti di forza esistenti sul terreno, che sono chiaramente
a favore della Russia per ragioni geostrategiche. A Bucarest del
resto la Nato ha reso chiaro che non intende forzare la situazione
spingendo per una rapida adesione di Tbilisi all’Alleanza. Inoltre,
come veniva notato anche sull’Herald Tribune questa mattina [ieri,
ndr], gli Stati Uniti hanno bisogno della Russia nei rapporti globali,
per fare fronte a dossier complessi quali ad esempio quello iraniano,
e non possono cedere alle intenzioni di un alleato minore, che peraltro
è anche scomodo.

In che senso?

Saakashvili ha messo in imbarazzo l’Occidente e in particolare gli
Stati Uniti. Da Washington erano arrivati al presidente georgiano
chiari consigli sul non far precipitare la situazione. Ora i georgiani
restano da soli e si allontana ancor di più la prospettiva di un
ingresso del Paese nella Nato.

Qual è il suo giudizio sul politico Saakashvili?

L’attuale presidente è un politico dalle chiare inclinazioni
autoritarie, che tuttavia gode di una certa popolarita e ha ottenuto
buoni risultati nel ristabilire l’ordine e la stabilita nel Paese
dopo il periodo Shevardnaze. La Georgia è una democrazia che sotto
diversi aspetti si può considerare incompleta, si può certamente
discutere su quanto siano state libere le recenti elezioni, ma il
dibattito nel Paese è aperto.

Perche questo attacco in Ossezia del Sud?

Si può ritenere che Saakashvili, facendo entrare le truppe georgiane
a Tskhinvali, abbia pensato di forzare la situazione con un colpo
di mano. Ha però fatto male i suoi conti. I russi possono accettare
l’esito di elezioni che siano in qualche modo a loro sfavorevoli,
come è accaduto in Georgia ma anche ad esempio in Ucraina, ma non
soluzioni di tipo militare.

Quanto conta il precedente del Kosovo nella crisi attuale?

Mosca ha sempre sostenuto che la soluzione adottata in Kosovo
rappresenta un precedente, non un caso particolare.

E il fattore etnico?

La dimensione etnica è giocata e sfruttata da tutte le parti in
causa. Dopo il ’91 nelle repubbliche secessioniste, ma specialmente
in Abkhazia, è avvenuta una pulizia etnica a danno della popolazione
georgiana. In Ossezia inoltre il leader della autoproclamata
repubblica, Kokojty, ha sempre agitato la carta etnica della
ricongiunzione con gli osseti del Nord. Gli osseti, che sono di
religione ortodossa, hanno sempre rappresentato una popolazione
tradizionalmente filo russa. La Russia del resto, oltre ad appoggiare
economicamente le leadership secessioniste, ha anche concesso il
passaporto ai cittadini osseti e abkhazi. Molti in questi anni hanno
dunque acquisito la cittadinanza russa.

Quale può essere la posizione dell’Unione Europea in questa crisi?

Bruxelles esprime la posizione di maggiore debolezza. Non c’è una
posizione unitaria, la Francia e in parte la Germania sembrano più
vicine alla Georgia, ma se gli americani non possono nulla questo
discorso vale ancora di più per gli europei.

Quali prospettive per uscirne?

In tutta l’area post sovietica il mantenimento di uno status
quo precario può degenerare prima o poi in scontri violenti e
conflitti aperti. Serve una politica lungimirante, non posizioni
attendiste. Questa è un’area a ridosso dell’Unione, decisiva per
i rapporti tra Mosca e Bruxelles, dove non è sufficiente gestire
l’esistente. E’ necessario un accordo tra Occidente e Russia nella
direzione della stabilizzazione, ma alla luce di quanto sta accadendo
questa è forse una visione utopistica.

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From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress

www.osservatoriocaucaso.org

Emil Lazarian

“I should like to see any power of the world destroy this race, this small tribe of unimportant people, whose wars have all been fought and lost, whose structures have crumbled, literature is unread, music is unheard, and prayers are no more answered. Go ahead, destroy Armenia . See if you can do it. Send them into the desert without bread or water. Burn their homes and churches. Then see if they will not laugh, sing and pray again. For when two of them meet anywhere in the world, see if they will not create a New Armenia.” - WS