Genocidio armeno: Perincek giustizia vodese vuole unico procedimento

Schweizerische Depeschenagentur AG (SDA)
SDA – Servizio di base in Italiano
Giovedì 28 luglio 2005

Genocidio armeno: Perincek, giustizia vodese vuole unico procedimento

BERNA

Il capo del Partito dei lavoratori turchi, Dogu Perincek, sospettato
di aver negato il genocidio armeno durante alcuni suoi soggiorni in
Svizzera, dovrebbe essere giudicato da un foro unico. E’ quanto ha
affermato oggi all’ats il giudice istruttore vodese Jacques Antenen,
il quale ha preso contatto con le autorita’ zurighesi che stanno
indagando contro la stessa persona per lo stesso reato. Intanto, nel
pomeriggio l’ambasciatore turco dovrebbe essere ricevuto a Berna per
discutere del caso.

I fatti rimproverati al politico turco risalgono allo scorso fine
settimana, quando Perincek si e’ recato sulle rive del Lemano per
festeggiare l’anniversario del Trattato di Losanna del 1923 che
sanci’ la nascita della Turchia moderna. In quell’occasione, il
politico ha ripetuto il suo credo, ossia che il genocidio in realta’
e’ una “menzogna degli imperialisti”. Con lo slogan “genocidio degli
armeni”, i parlamenti europei adottano risoluzioni che mirano
all’abolizione dello Stato nazionale turco, ha esclamato.
Un’affermazione che violerebbe la norma antirazzismo e che
costituirebbee un reato per la legislazione elvetica.

Sabato l’uomo era gia’ stato interrogato per due ore dal giudice
istruttore di Winterthur a causa di una conferenza tenuta il giorno
prima a Glattbrugg (ZH) dove ha pronunciato un discorso simile a
quello di Losanna.

La vicenda ha scatenato la reazione stizzita del ministro degli
esteri turco Abdullah Guel che ha definito l’interrogatorio
“inaccettabile” e assolutamente “contrario al principio della
liberta’ di espressione”.

Su Perincek pende gia’ una denuncia sporta dall’Associazione
Svizzera-Armenia (ASA), per negazionismo, dopo un discorso
pronunciato il 7 maggio a Losanna. Il giudice istruttore losannese
che pensava di approfittare della presenza di Perincek il fine
settimana scorso per sentirlo si e’ visto opporre un rifiuto dal
diretto interessato, il quale si e’ giustificato dicendo di non avere
tempo. Le autorita’ vodesi – aveva assicurato la portavoce della
polizia losannese, Ghislaine Carron – contano pero di poterlo
interrogare ugualmente.

Per Antenen, la polizia deve ancora confermare se il politico ha
ripetuto affermazioni condannabili in pubblico domenica scorsa a
Losanna. In caso affermativo, l’inchiesta sara’ estesa anche a questo
episodio.

La giustizia elvetica indaga anche sullo storico Yusuf Halacoglu per
fatti risalenti al giugno 2004. Sempre la procura di Winterthur aveva
aperto infatti un procedimento contro di lui per le affermazioni
contenute in una conferenza del maggio 2004, durante la quale avrebbe
minimizzato gli avvenimenti del 1915, violando in tal modo la norma
federale anti-razzismo.

Ieri il governo di Ankara ha affermato di volere la sospensione
immediata delle indagini preliminari nei confronti dei due suoi
cittadini. Simili propositi sono stati comunicati dal Ministero degli
esteri turco all’ambasciatore svizzero ad Ankara Walter Gyger. Oggi
il caso sara’ discusso tra l’ambascitore turco a Berna e Jean-Jacques
de Dardel, capo della divisione politica I del Dipartimento federale
degli affari esteri.

La questione del genocidio armeno – si stima abbia causato un numero
di morti compreso tra i 200mila e i 2 milioni – e’ ormai da anni un
ostacolo nelle relazioni fra Berna e Ankara. Stando allo storico
Hans-Lukas Kieser, che da anni si occupa di questa vicenda, la
Turchia ha sempre reagito con rabbia alle critiche provenienti dalla
Svizzera. Sulle colonne della “Berner Zeitung”, Kieser ha dichiarato
che per Ankara la Confederazione e’ un modello, giacche ha svolto un
ruolo importante nella nascita della Turchia moderna. Per i turchi la
questione armena e’ ancora tabu’.

In Svizzera il genocidio armeno e’ stato riconosciuto dal Consiglio
nazionale, ma non dal Consiglio degli Stati ne dal Consiglio
federale. A livello cantonale, il genocidio e’ stato riconosciuto dai
Gran Consigli di Vaud e Ginevra, nonche dall’esecutivo di
quest’ultimo cantone.

From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress

Well-known Rssn businessman decorated with Legion of Honor order

ITAR-TASS News Agency
TASS
July 28, 2005 Thursday 11:25 AM Eastern Time

Well-known Rssn businessman decorated with Legion of Honor order

PARIS

President Jacques Chirac of France has signed a decree on decorating
the well-known Russian businessman Ara Abramian, who chairs the Union
of Russian Armenians and is a UNESCO good will ambassador, with the
Order of the Legion of Honor, the highest state award in this
country.

“Ara Abramian did very much for the promotion of Russian-French
relations,” Russia’s ambassador to France, Alexander Avdeyev said.
“He is a co-chairman of the Russian-French Dialogue public
association that was set up at the initiative of Presidents Vladimir
Putin and Jacques Chirac.”

“Mr. Abramian helped to install a monument to the Soviet soldier at
Pere La Chaise cemetery in Paris to commemorate the 60th anniversary
since the end of World War II,” Avdeyev said.

“He also organized fruitful bilateral business meetings and the
festival of Russian movies in Honfleur in Normandy,” he said.

“Mr. Abramian’s activity in the area of Russian-French relations
combines warm feelings with concrete moves, and that’s why I think
the French President’s decision to decorate him with the Order of the
Legion of Honor is totally well-grounded,” Avdeyev said.

“He’s definitely one of the people who mold a new Russian-French
partnership with their own hands,” the ambassador indicated.

The Order of the Legion of Honor, an award having five degrees of
distinction, was instituted by Napoleon in 1802. It is awarded for
outstanding services to France.

BAKU: Official Baku calls foreign operators to suspend coop w/NK Cos

Azerbaijan News Service
July 28 2005

OFFICIAL BAKU CALLS FOREIGN OPERATORS TO SUSPEND COOPERATION WITH
ILLEGAL `QARABAQ TELECOM’ COMPANY
2005-07-28 20:30

One of four foreign companies cooperating with «Qarabaq Telecom»
company operating in occupied Daqliq Qarabaq illegally in
communication field has officially suspended cooperation, informed
Iltimas Mammadov, official of Ministry of Communications and
Information Technologies. Several operators including one Uzbek
operator ceased cooperation with the company after our addresses. We
will appeal to International Telecommunication Organization, GSM
Association that the other three foreign companies should stop
cooperation with «Qarabaq Telecom» company. As the territory where
«Qarabaq Telekom» company operates belongs to Azerbaijan and official
Baku didn’t give a license to operate in communication field the
company was deprived of membership of GSM Association since June 1
2004. But after this, `Qarabaq Telecom’ was given a license as a
mobile operator in the territory of Armenia. Appealing to GSM
Association as well as other international operators this company now
tries to cooperate with them as an Armenian company. Ministry of
Communications and Information Technologies is to appeal to GSM
Association regarding this issue.

Genocide. Ambassadeur suisse entendu en Turquie

Le Temps
28 juillet 2005

Berne et Ankara campent sur leurs positions;
GENOCIDE. Ambassadeur suisse entendu en Turquie.

Walter Gyger, ambassadeur de Suisse en Turquie, a été invité à
s’expliquer mercredi au Ministère turc des affaires étrangères sur
les enquêtes ouvertes par la justice suisse contre un politicien et
un historien turcs pour négation du génocide arménien. Ankara avait
vivement protesté contre l’enquête ouverte durant ce week-end contre
Dogu Perincek.

Celle pour négation de génocide contre Yusuf Halacoglu avait déjà
valu à Walter Gyger d’être convoqué.

«Les deux parties ont expliqué leurs positions», commente Ivo Sieber,
porte-parole du Département fédéral des affaires étrangères. «Nous
avons rappelé que la liberté d’expression est garantie en Suisse mais
que minimiser, nier ou justifier un génocide tombe sous le coup de
l’article 261 bis du Code pénal.» Il ajoute: «Nous avons aussi
rappelé la stricte séparation des pouvoirs et souligné que le cas de
Dogu Perincek est entre les mains de la justice.» Ankara a de son
côté déclaré que les enquêtes du Ministère public de Winterthour
contre l’historien et le chef du Parti des travailleurs turcs
allaient «à l’encontre du droit international». Elle exige l’abandon
de ces enquêtes.

Ce jeudi, l’ambassadeur turc en poste à Berne aura l’occasion
d’exprimer son irritation à Jean-Jacques de Dardel, en charge de la
division politique I du DFAE. Le besoin de clarifier ces tensions se
fait grandissant pour ne pas compromettre le voyage de Joseph Deiss:
le ministre de l’Economie est censé se rendre en Turquie dans un
mois.

AXA prie de resistuer les avoirs Armeniens

La Tribune
28 juillet 2005

AXA PRIÉ DE RESTITUER LES AVOIRS ARMÉNIENS

A l’occasion du quatre-vingt-dixième anniversaire du génocide
arménien perpétré sous l’Empire ottoman, la European Armenian
Federation a réaffirmé, hier dans un communiqué, la nécessité pour
AXA de restituer aux descendants des victimes arméniennes les fonds
dormants des contrats d’assurance-vie souscrits avant 1915, comme l’a
déjà fait l’assureur New York Life Insurance.

Are we ashamed? an example of inner peace: The Turks & memory

Frankfurter Allgemeine Zeitung
28. Juli 2005

Are we ashamed? an example of inner peace: The Turks & memory

Wir sollen uns schämen?;
Probe auf den inneren Frieden: Die Türken und die Erinnerung

Aufmacher Feuilleton

Können es die Türken nicht einfach machen wie die Deutschen? Wir
haben doch auch unsere Lektion gelernt. Anerkennung des Völkermords
an den Armeniern gegen Beitritt zur Europäischen Union: Auf den
Vorschlag eines solchen Handels laufen die Signale hinaus, die jüngst
zwischen Ankara und Berlin hin und her gingen (F.A.Z. vom 18. Mai).
Die deutsche Gedenkstättenlandschaft hält für türkische Besucher eine
tröstliche Botschaft bereit: Auf ein schlechtes Gewissen kann man
mächtig stolz sein. Da steht zum Beispiel in einem Park am Bremer
Hauptbahnhof ein Elefant aus Backstein. Errichtet wurde das gewaltige
Denkmal 1932 zur Erinnerung an die in Afrika gefallenen deutschen
Kolonialkrieger. Als Namibia 1990 seine Unabhängigkeit erlangte,
widmete man das Monument zum Antikolonialdenkmal um. Die Bremer
Kaufleute hatten einst vom Kolonialismus gelebt, also übernahmen ihre
weltoffenen Nachfahren die Verantwortung. Zur Zeit plant die Stadt
ein Mahnmal zur Erinnerung an den Herero-Aufstand in
Deutsch-Südwestafrika. Dafür sollen Steine aus jener namibischen
Wüste geholt werden, in welche die kaiserliche Schutztruppe die
Aufständischen 1904 trieb, so daß sie an Hunger und Durst verendeten.
Ob das Wort “Völkermord” zum Kontext des Denkmals gehören soll, steht
noch nicht fest.

Nur hundert Meter vom Steinelefanten entfernt, steht an einem
sandigen Weg seit dem 24. April ein armenisches Steinkreuz. Neben dem
mannshohen Quader mit dem fein gemeißelten Halbrelief liegen
verdorrte Blumen und ein ausgebranntes Teelicht. Eine kleine Tafel
trägt die Inschrift: “Zum 90. Jahrestag des Völkermords an den
Armeniern im Osmanischen Reich gedenken wir der 1 500 000 ermordeten
Armenier.” Auf die Metallplatte hat jemand das Wort “Lüge” gekratzt,
in eckigen Großbuchstaben und nur aus schrägem Blickwinkel zu
erkennen.

Mehmet Güven, in der Türkei geboren und 1972 zum Studium nach Bremen
gekommen, betrachtet das Denkmal nachdenklich. Hat er etwa
Verständnis für die Beschädigung der Plakette? Der Endvierziger im
hellen Sommeranzug nickt: “Ja, das ist schon verständlich. Das Wort
Völkermord ist eine Provokation für die Türken.” Schon als das
Denkmal in Anwesenheit von Bürgermeister Henning Scherf aufgestellt
wurde, ging die türkische Bevölkerung auf die Barrikaden. Die
“Stiftung Armenisches Kulturerbe”, die den Stein gestiftet hat, will
die Fluchtwege der Exilarmenier mit einer Reihe von Denkmälern
zurückverfolgen. Der letzte Stein, so erklärt die
Stiftungsvorsitzende Elize Bisanz, soll zum hundertsten Jahrestag
aufgerichtet werden, wenn möglich in der Türkei. Nach den Worten von
Frau Bisanz nehmen die Steine jene Anerkennung vorweg, welche die
deutsche Politik noch nicht vollzogen hat – womit sie auch Prüfsteine
seien, wie die Bevölkerung reagiere.

In Bremen, wo die Stele nun wie ein miniaturisiertes
Holocaust-Mahnmal in einem beschaulichen Park steht, schlug der
demoskopische Sensor heftig aus. Rund vierzigtausend Türken leben in
der Hansestadt, und lange Zeit sahen sie Scherf als ihren Freund an.
“Der hat auf unseren Hochzeiten getanzt und zum Ramadan die Moscheen
besucht”, so Güven. Seit das Denkmal steht, scheint es vorbei mit
dieser Freundschaft. Bremens Partnerstadt Izmir wollte sogar die
Beziehungen abbrechen, beließ es dann aber bei einem Brief mit dem
Ausdruck tiefer Betrübnis. Güven, selbst im SPD-Ortsverein
Bremen-Nord engagiert, setzte ein Protestschreiben an den Genossen
Scherf auf: “Ihr Verhalten verletzt uns tief in unseren Gefühlen. Ich
kann die Frage nicht beantworten, wenn mich meine Tochter eines Tages
fragt: Papa, warum haben wir die Armenier ermordet? Vielleicht können
Sie die Antwort geben.”

Der Informatik-Berater Güven erfüllt keineswegs das Klischee des vom
Nationalstolz besessenen Türken. Er kam in den Siebzigern an die
politisierte Bremer Universität, sieht sich als Linken und kritisiert
den von türkischen Medien angeheizten Nationalismus vieler
Deutschtürken. Trotzdem stellt der Völkermordvorwurf für ihn – hier
zögert er nur kurz – “eine Frage der Ehre” dar. Die Deutschen würden
den Türken immer sagen: “Was ist an der Anerkennung so schlimm, wir
haben auch Völkermord begangen.” Doch die Sache liege anders: In der
Türkei sei das Thema ein Tabu, jahrzehntelang totgeschwiegen. Somit
seien weniger die juristischen Dimensionen das Problem als die
“gefühlsmäßigen”. Güven war in Istanbul mit Armeniern befreundet und
könnte die Vorstellung, daß seine Vorfahren deren Großväter
umgebracht haben, nur schwer ertragen: “Die Türken würden sich
schämen vor ihren Freunden.”

In einer Schamkultur wie der türkischen folgt das Gedenken anderen
Regeln als in einer westlichen Schuldkultur. Auf eine tiefgreifende
Umwälzung des Geschichtsbildes, so Güven, müsse man sich “eingehend
vorbereiten, aber nicht einseitig”. Und in der Situation vor Beginn
der Beitrittsverhandlungen fühlten sich die Türken “in die Ecke
gedrängt”, denn eine Anerkennung des Genozids, die doch nur Ergebnis
eines Verständigungsprozesses sein könne, werde als Bedingung
vorausgesetzt. Eine “vorbehaltlose” Diskussion könne aber nur “ohne
Druck von Dritten” stattfinden.

Hört man sich in der türkischen Bevölkerung von Bremen um, so findet
man quer durch die Generationen erhitzte Gemüter. Im Vereinsheim des
türkischen Fußballklubs KSV Vatansport, im Arbeiterstadtteil
Gröpelingen angesiedelt, steht zwischen Mannschaftsfotos des
einstigen Verbandsligameisters eine Atatürk-Büste. Der ehemalige
Vereinsvorsitzende Halil Angün organisiert Protestveranstaltungen
gegen das Denkmal und erwägt Parolen wie “Türken sind keine
Deutschen, Armenier sind keine Juden”. Über dem Tisch ziert ein
gerahmter Erlaß des Sultans Mehmet II. aus dem Jahr 1453 die Wand, in
welchem – so Angün – den griechischen, armenischen, jüdischen und
bulgarischen Minderheiten gleiche Rechte eingeräumt werden. Am Ende
zeigt Angün eine ausgedruckte Internetseite mit den elf
“Google”-Einträgen seines Sohnes, der als Arzt in Berlin lebt.

Im Konsul-Hackfeld-Haus in der Innenstadt haben die türkischen
Vereine eine Ausstellung namens “Die andere Seite der Medaille –
Hintergründe der Tragödie von 1915 in Kleinasien” aufgebaut, welche
die Schuldzuschreibung schlichtweg umkehrt und zahllose Greuelfotos
aneinanderreiht, die laut Bildlegende “Skelette getöteter türkischer
Muslime” und “massakrierte Türken” zeigen. Die bizarre Schau ist, wie
ein Plakat mit dem seltsamen Titel “Von Osmanen bis Heute –
Armanischen Terrorismus” verrät, aus dem Generaldirektorat des
Türkischen Staatsarchivs importiert.

Im Vorraum trinken ein paar junge Türken Tee. “Wir werden in eine
zweite Klasse eingestuft”, empört sich ein Endzwanziger mit offenem
Hemd und hanseatischem Akzent, “und man gibt uns noch nicht mal die
Möglichkeit zu reagieren.” Für die gemeinsame Aufarbeitung der
Geschichte wählt er eine Pokermetapher: “Man soll sich an einen Tisch
setzen und die Karten auf den Tisch legen: Was habe ich, was hast
du?” Ein achtundzwanzigjähriger Wirtschaftswissenschaftler betrachtet
die Sache nüchterner. Er habe versucht, sich einzulesen – und zwar
“nicht aus einseitiger Perspektive”, was schwer gewesen sei.
Leugnungen wie “Es hat niemals Morde gegeben” erklärt er sich damit,
daß es auch auf türkischer Seite an handfesten Informationen mangele.
Trotzdem läuft die Debatte für ihn in eine falsche Richtung: “Die
Diskussion ist nicht mehr ehrlich, wenn man Ergebnisse präsentiert
bekommt, ohne einbezogen worden zu sein.”

Auch in Braunschweig steht seit dem 1. Mai ein armenischer
Kreuzstein. Allerdings befindet er sich auf dem Privatgrundstück der
evangelisch-lutherischen Brüderkirche am Rande der Fußgängerzone.
Anders als der Bremer Senat, der seine schützende Hand über das
Denkmal hielt, lehnte die Braunschweiger Verwaltung eine
Unterstützung ab. Die offizielle Begründung lautet, der Stein passe
nicht zum auf Lokalgeschichte konzentrierten “Gedenkstättenkonzept”.
Doch der CDU-Fraktionsvorsitzende Wolfgang Sehrt gibt eine
deutlichere Erklärung: “In einer Kommune kann es nicht in Ordnung
sein, daß man hier ein Zeichen setzt, das andere provoziert.”
Letztlich bot Pfarrer Frank-Georg Gozdek dem Gedenkstein Asyl und
ließ ihn unter wütenden Protesten der Braunschweiger Türken am Chor
seiner Kirche aufbauen. Wenn der rauschebärtige Gottesmann, in seiner
bärenhaften Gestalt fast ein Wiedergänger Luthers, an die
Einweihungsfeier zurückdenkt, packt ihn heiliger Zorn: “Wir haben ein
deutsches Osterlied gesungen, und die haben gepfiffen und gebrüllt!”

In Gozdeks museal anmutender Pfarrstube biegen sich die Regalbretter
unter stockfleckigen Folianten. In der Brüderkirche, so Gozdek, halte
er den Gottesdienst “authentisch wie zu Luthers Zeiten”, also ohne
schwarzen Talar, mit dem Gesicht zum Altar und mit viel Weihrauch:
“Dadurch steht die Gemeinde der Ostkirche sehr nahe.” Offensichtlich
gilt in diesem Pfarramt kein Bilderverbot: An der Wand hängt neben
zahlreichen Christusbildern auch Dürers “Melancholia”. Unter dem
Stich sitzt der armenische Chirurg Kevork Kalatas, der die
Aufstellung des Denkmals in Braunschweig vorangetrieben hat und sich
noch lebhaft an die auf der Protestkundgebung spielenden
Mehter-Kapellen erinnert, die einst an den Spitzen der osmanischen
Heere marschierten. Fast erweckt die Beschreibung der Szene an der
Braunschweiger Kirche den Eindruck, als stünden die Türken wieder vor
Wien und nicht etwa vor dem Beitritt in die Europäische Union.

Für Kalatas, der viele türkische Patienten hat, ist die ablehnende
Haltung der Türken keineswegs einheitlich: Von den ebenfalls vom
türkischen Nationalismus traumatisierten Kurden und Aleviten, aber
auch von ausgewanderten Sozialisten und Kommunisten gebe es Zuspruch.
Kalatas spricht von den “armenischen Leichen im türkischen Keller”
und von der verdrängten Erinnerung. In seinem Heimatdorf sei er
einmal von Kindern gefragt worden, ob die wenigen dort noch lebenden
Armenier aus Kanada stammten. “Die Türken bauten ihren Staat auf
einer Lüge”, sagt Kalatas, “nämlich der Heroisierung der Jungtürken.”
Deren Anerkennung als “Gauner” sei für jeden Türken schmerzhaft.

Nach Bremen und Braunschweig will die Stiftung Armenisches Kulturerbe
auch in anderen deutschen Städten Kreuzsteine errichten. So entstehe,
hier spricht Elize Bisanz als die in Lüneburg lehrende
Kulturwissenschaftlerin, beiläufig eine “Landkarte des öffentlichen
Raums”. An den ersten Stationen hat sich schon gezeigt, daß die
Wegmarken aus armenischem Granit den Raum nicht nur vermessen,
sondern auch wie erinnerungspolitische Magnetsteine verändern. Eine
durch Einschüchterung erzwungene Kirchhofsruhe wird keinen Bestand
haben.

ANDREAS ROSENFELDER

Die Schuldkultur soll helfen: In Braunschweig bietet eine Kirche dem
armenischen Gedenkstein Asyl.

Fotos Holde Schneider

In Bremen steht das Kreuz mit dem Segen der Stadtoberen in einem
Park. Die Stifter sind so kühn, sich den letzten Stein ihres Parcours
auf türkischem Boden vorzustellen.

Wie groß ist die Furcht der deutschen Kommunalpolitik vor dem
EU-Kandidaten? Gedenksteine in Kreuzesform, die von Armeniern
errichtet und von Türken zerkratzt werden, sind nicht jedem
Bürgermeister willkommen.

Turkey-Switzerland: discussion of Ambassadors on Armenian Genocide

Schweizerische Depeschenagentur AG (SDA)
SDA – Basisdienst Deutsch
28. Juli 2005

Tuerkei-Schweiz: Tuerkischer Botschafter im EDA – Gespraech ueber
Armenier-Genozid

Bern

Nach den juengsten Protesten der Tuerkei wegen der Schweizer
Ermittlungen gegen zwei Tuerken wegen Genozid-Leugnung hat sich der
tuerkische Botschafter mit dem Chef der Politischen Abteilung I,
Botschafter Jean-Jacques de Dardel, getroffen.

Die Unterredung war von dem tuerkischen Botschafter Alev Kilic
verlangt worden. Das EDA zeigte sich dabei nach eigenen Angaben
“erstaunt” ueber die fortdauernden Proteste der Tuerkei gegen die
Ermittlungen, die gegen den tuerkischen Politiker Dogu Perincek in
Winterthur wegen Verstoessen gegen das Antirassismusgesetz laufen.

Dies teilte das Eidg. Departement fuer auswaertige Angelegenheiten
(EDA) am Donnerstag in einer Medienmitteilung mit. Perincek hatte den
Voelkermord an den Armeniern an einer oeffentlichen Veranstaltung in
Glattbrugg ZH als “imperialistische Luege” bezeichnet.

Das EDA betonte, dass die Schweizer Gesetzgebung im vorliegenden Fall
anwendbar sei, und verwies auf den Antirassismusartikel. Danach ist
die Leugnung von Voelkermord und anderen Verbrechen gegen die
Menschlichkeit strafbar. Es obliege den zustaendigen
Gerichtsbehoerden, Ermittlungen aufzunehmen, teilte das EDA Kilic
mit.

Historiker sollen aufdecken

Das EDA wies zudem darauf hin, dass der Bundesrat die tragischen
Deportationen und Massaker an Armeniern in der Endphase des
Osmanischen Reiches immer verurteilt habe. Es sei aber vor allem eine
Aufgabe der historischen Forschung, Licht in die damaligen Ereignisse
zu bringen.

Der Bundesrat begruesst daher den Vorschlag der tuerkischen
Regierung, dass sich eine gemischte tuerkisch-armenische
Historikerkommission gemeinsam der vertieften Pruefung dieser Frage
annimmt.

Schliesslich zeigte sich das EDA “zuversichtlich, dass diese
Erlaeuterungen zum schweizerischen Rechtssystem und dessen
Funktionieren der Wiederherstellung einer ruhigeren
Arbeitsatmosphaere foerderlich sind”.

U.S. Diplomat Highlights Work of OSCE Mission in Armenia

U.S Dept of State
28 July 2005
U.S. Diplomat Highlights Work of OSCE Mission in Armenia

Constitutional reform, women’s issues, Melange disposal, corruption
American diplomat Paul W. Jones on July 28 praised the work of the
Organization for Security and Cooperation in Europe (OSCE) mission in
Yerevan, Armenia, highlighting in particular its assistance on
constitutional and electoral reform and efforts to promote women’s
participation in local elections and in fighting corruption.
Addressing the OSCE Permanent Council in Vienna, Austria, Jones also praised
the OSCE office’s plan to eliminate Melange stockpiles in Armenia through
environmentally sound means.
Melange comprises the two component liquid propellants used for larger
Soviet rockets and guided missiles. The large quantities of Melange stored
on the territory of the former republics of the Soviet Union pose a serious
disposal problem because they are extremely active, easily evaporating and
highly toxic. The OSCE in partnership with NATO has held a series of
technical workshops on Melange.
Jones was responding to a report to the Permanent Council by OSCE Head of
Office in Yerevan Vladimir Pryakhin.
Following is the text of his statement as provided by the United States
Mission to the OSCE:

United States Mission to the OSCE
Vienna, Austria
July 28, 2005
RESPONSE TO THE OSCE HEAD OF OFFICE IN YEREVAN VLADIMIR PRYAKHIN
As delivered by Chargé d’Affaires Paul W. Jones to the Permanent Council

Thank you, Mr. Chairman.
The United States also would like to welcome very warmly the Head of Office
in Yerevan, Ambassador Vladimir Pryakhin to the Permanent Council. We
deeply appreciate all the hard work you and your Office have done across all
dimensions of OSCE activities over the past seven months.
We wish to bring special attention to the Office in Yerevan’s assistance in
both the Constitutional and Election Reform Processes in Armenia.
On July 7, 2005, the government of Armenia submitted its revised
constitutional reform amendments to the Council of Europe’s Venice
Commission. The United States welcomes the Venice Commission’s agreement to
these amendments and looks forward to their adoption at the November
national referendum.
One highlight of these reforms is improved separation of powers between
branches of government. Another proposed amendment would create increased
plurality and independence of the media and develop a fairer system for
distribution of frequencies within Armenia. Such an act would be another
step forward for freedom of the media, and further strengthen Armenia’s
commitment to this OSCE principle.
We look to the Office in Armenia to facilitate this ongoing process,
including work to increase public knowledge about the referendum to aid its
success. The United States stands ready to assist in this effort.
Additionally, the Office in Yerevan continues to coordinate electoral
related issues. Its most recent success is the amended election code of May
19, 2005, which received expert input from ODIHR and the Venice Commission.
The United States looks forward to the good-faith implementation of these
reforms during the upcoming Autumn 2005 local elections and thereafter.
We welcome the Office’s continued efforts to promote women’s participation
in local elections. The Office’s recent program for 8th and 9th graders to
address the importance of women in society is innovative and
forward-thinking. The United States anticipates further developments in
this field.
The Office in Yerevan recently presented a plan to eliminate Melange
stockpiles in Armenia through environmentally sound means. After the
project’s planned completion next summer, the United States looks forward to
the project’s experts sharing their knowledge with other countries.
In May and June of 2005, the four members of the Armenian Ombudsman’s office
received intensive on-the-job training from Polish and Lithuanian
counterparts. On July 7, largely due to this professional training, the
Office of the Armenian Ombudsman unveiled the Government of Armenia’s first
Human Rights website. Adoption of the new constitutional reforms will make
this a permanent office within Armenia.
In the fight against corruption, the Office in Yerevan organized several
seminars. Some examples include a seminar to address the operations of
financial and economic institutions and another to address law enforcement
institutions. The United States notes the high attendance of government
officials at these seminars. Their attendance allowed direct dialogue
between state officials and civil society to promote openness and
transparency in the government.
The United States supports the Office’s economic and environmental work done
in the Syunik Region of Armenia. Of particular note is the Office’s new
initiative to assist small and medium-sized enterprises build capacity for
free market operations.
We would like to mention the Government of Armenia’s support for a new
project office in Kapan, the region’s capital. This project office will
help develop local ownership for the initiative. This is a good example of
the way the Government of Armenia supports the Office’s efforts in the
economic and environmental dimension.
Thank you, Ambassador Pryakhin, for speaking to us today, and for your
ongoing hard work on behalf of the OSCE. We wish you and your staff
continued success in Yerevan and look forward to your next report to the
Permanent Council.
Thank you, Mr. Chairman.

(Distributed by the Bureau of International Information Programs, U.S.
Department of State. Web site: )

http://usinfo.state.gov

Georgian border guards stop convoy on Georgia-Armenia border

ITAR-TASS News Agency
TASS
July 28, 2005 Thursday 10:41 AM Eastern Time

Georgian border guards stop convoy on Georgia-Armenia border

By Tengiz Pachkoria

TBILISI

Georgian border guards have stopped a convoy on the Georgian-Armenian
border.

Sources in the Georgian Border Guard Department told Itar-Tass on
Thursday, “An armoured vehicle was loaded with five pistols and five
guns. Russia has no documents on this equipment.” To this end,
Georgia asked Russian military “to give documents on equipment.” The
convoy includes four trucks and four armoured vehicles.

Commander of Russian troops in Transcaucasia Vladimir Kuparadze told
Itar-Tass, “Pistols and guns are armoured vehicles’ set that is why
there is no special document on their withdrawal. In order to settle
the incident the command of Russia’s base will prepare necessary
documents and deliver them to the checkpoint.”

Kuparadze said hardware is withdrawn from Akhalkalaki in compliance
with the Russian-Georgian agreement on the pullout of the bases. The
most part of hardware will be pulled out to Russia and the rest of
them to Armenia.

Lithuanians speak out against Turkey in EU

Lithuanians speak out against Turkey in EU

The Baltic Times
28.07.2005

By TBT staff

Vilius Alisauskas, coordinator of Voice for Europe in Lithuania, told
the Baltic News Service that the current wave of protest against
Turkey’s membership, launched in Budapest in mid-July, will visit
several largest European cities in two weeks.

Participants in the action will seek to draw the attention of the
public, politicians and media representatives to problems that Turkey’s
full-fledged membership in the EU would cause.

Alisauskas said that participants in the Vilnius demonstration maintain
the position that Turkey is `alien’ for Europe because of the political
system, religion, the human rights situation and the geographical situation.

`Turkey is not a democratic country. It has serious problems with its
neighbors and ethnic minorities, does not promote human rights and
freedoms, does not preserve the European culture and values,
furthermore, from the geographical point of view, Turkey is not in
Europe,’ he said.

`Turkey has nothing in common with Europe. Algeria is not far as well,
so let’s maybe admit it as well,’ he added.

In his words, participants believe that the EU can cooperate with Turkey
without granting the latter full membership.

During the international initiative Voice for Europe, European people
will be urged to sign a petition against Turkey’s membership in the EU.

International initiative Voice for Europe actions are organized in July
in Slovakia, France, Austria, Belgium, Luxembourg, Great Britain, the
Netherlands, Denmark, Sweden, Finland, Lithuania, Poland, the Czech
Republic and Germany.

Turkey, which has a population of 70 million, mostly Muslims, has been
seeking EU membership since 1963. If Turkey joined the EU, it would be
the largest EU member in terms of its area and population.

EU accession negotiations with Turkey will start on Oct. 3.